“Un opportunista, per la sua stessa natura, eviterà sempre
di prendere una posizione chiara e decisa, cercherà sempre una via di mezzo, si
divincolerà sempre come un serpente tra due punti di vista che si escludono a
vicenda, cercando di concordare con entrambi e di ridurre le proprie divergenze
d'opinione a insignificanti obiezioni, dubbi, innocenti e pii consigli e così
via”.
(Lenin)
Per quel che mi riguarda, ho
passato non piccola parte della mia vita “dissentendo” e so quanto preziosa sia
la dialettica fra le posizioni in campo, dunque non mi preoccupa la discussione
franca, nemmeno quando espressa con ruvidezza.
Per farlo, i compagni e le
compagne (tutti dirigenti a vario titolo del Prc) hanno scelto in questo caso
la strada della lettera al compagno Acerbo e alla Direzione. Dunque una lettera
interna al partito. Che tale avrebbe dovuto rimanere.
Peccato che, in tempo reale, anzi,
prima ancora di ricevere la lettera in quanto componente della Direzione, la
sera del 4 dicembre, mi sia stato inviato il testo da parte di PaP
Franciacorta, un’assemblea territoriale che si staccò anzitempo da PaP
provinciale Brescia e che si è distinta per la violenza degli insulti e degli
attacchi rivolti ai compagni e alle compagne di Rifondazione, una campagna che
ancora perdura senza sosta.
Ciò significa che qualche
solerte compagno/a di Rifondazione che si dice preoccupato per l’iniziativa di
Acerbo (giudicata “lesiva dello stesso ruolo del Prc”), non si è fatto scrupolo
di giocare su due tavoli e utilizzare la dinamica interno/esterno per sparare
sul segretario a palle incatenate.
In un attimo la lettera si è
trasformata in un fenomeno virale ed è subito parso evidente che quel “ci
dissociamo apertamente”, dichiarato sin dal titolo della lettera dai firmatari,
si è rivelato per quello che è: non un’espressione utile a rendere esplicito un
dissenso e ad aprire un legittimo confronto, ma ad intentare un processo nello
spazio pubblico.
Sono troppo vecchio per non
sapere che queste cose non avvengono mai per caso e, una volta di più, mi
interrogo su quale concezione di partito (comunista) alberghi nella testa (e
nei comportamenti) di non pochi compagni/e.
Questo al di là del merito,
che pure c’è, e di cui vorrei discutere con gli estensori della lettera. Che ha
un andamento singolare.
Si comincia con due
affermazioni lapidarie: “l’infondatezza” dell’incompatibilità fra Prc e Potere
al Popolo e l’errore (di Acerbo) di contestare, con metodi “burocratici e amministrativi”
l’uso del simbolo da parte del nuovo gruppo dirigente di PaP.
Poi segue l’ammissione che,
in effetti, “la svolta avvenuta negli ultimi mesi contraddice i contenuti e gli
obiettivi del Manifesto originale di Potere al Popolo” e che PaP rischia di
ridursi “ad una nuova formazione che si aggiunge a quelle già esistenti”.
E’ detto in modo molto, molto
pudico, ma il senso è chiaro: ex-Opg, Eurostop, Rete dei comunisti e dintorni stanno
trasformando PaP in un partito. Un partito - per la verità - che considera
zavorra tutto ciò che si muove fuori dal proprio perimetro.
Infine, l’invito ad Acerbo a dismettere
un tono da leguleio, a cambiare registro e a “confrontarsi per trovare insieme
le soluzioni giuste”.
Per fare cosa? La risposta è:
per “prendere atto dell’interruzione di un percorso comune, lasciando aperta la
strada ad un lavoro unitario su ciò che ci unisce”.
Ora, cari compagni, dovete
essere più chiari. E’ doveroso esserlo, in modo che tutti capiscano, scansando ogni
ipocrisia.
Intanto sulla questione
principale, alla quale bisogna rispondere.
Ogni partito è – per sua
natura – in competizione con ogni altro e anche coloro che oggi sfruttano in
proprio il brand di PaP lo sono, tanto che non lesinano quotidiani colpi di
clava contro Rifondazione Comunista, considerata un’escrescenza terminale della
vecchia sinistra (lo hanno persino scritto nel loro statuto).
Fino al punto che sembra
prevalere fra loro l’orientamento a non partecipare a prossime liste elettorali
nelle quali sia presente il Prc!
La domanda allora è: come si può
far parte di entrambe le formazioni politiche (come dite voi stessi, in
contrasto fra loro per “contenuti e obiettivi”) senza entrare in una
contraddizione senza scampo?
Credo in nessun modo, a meno
che non si stia da una parte ma si penda dall’altra.
E’ poi chiaro che chi invece la
contraddizione non la vede (sorbole!), chi pensa che si può “interrompere il
percorso comune” e, contemporaneamente, tenere un piede di qua ed uno di là non
può neppure porsi il problema della evidente schizofrenia che si produce.
Capisco che allora diventi del
tutto irrilevante anche la questione del nome e del simbolo, scippati con un
colpo di mano, in violazione del solo statuto legittimo, perché approvato da
tutti, comprese le rigorose clausole che ne consentono la modifica.
Se è certo che “non abbiamo
bisogno di dispute legali”, vorrei però conoscere quali sono – secondo voi - i
modi “trasparenti e propositivi” per affrontare quelle che con bizzarra equidistanza
definite le “divergenze” aperte.
Più precisamente, meriterebbe
sapere, così, per chiarezza, se pensate che simbolo e nome vadano semplicemente
abbandonati, per bon ton, nelle mani
di chi se li è portati via, lasciando i compagni di Rifondazione a litigare fra
loro fra “fuoriusciti” (secondo la nomea affibbiataci dalla coppia
Cremaschi-Carofalo) e “unitari” che ancora convivono nella rifondata compagine
di PaP.
Allo stesso modo, sempre per
chiarirmi le idee, chiedo ai compagni autori del J’accuse contro Acerbo cosa pensino dell’iniziativa lanciata con la
lettera “Compagne e compagni”, promossa proprio per non disperdere quanto di
positivo aveva prodotto e poi rinnegato Potere al Popolo, per rilanciare il
progetto di un fronte largo del campo antiliberista e anticapitalista fondato
sul metodo (il solo che può funzionare) della decisione condivisa.
Investiamo su questa impresa
o credete si tratti di un ballon d’essai destinato
a sgonfiarsi?
E’ vero, ci sono in giro
confusione e sconcerto, soprattutto nelle nostre file, frutto non solo
dell’altrui doppiogiochismo, ma anche di nostri evidenti errori su cui dovremo
ancora riflettere.
Ma se per noi è un imperativo “concentrare ogni
energia nell’opposizione al governo ed ai vincoli europei”, la cosa peggiore
che può accadere è stare a metà del guado, portando acqua al mulino di chi
pensa (e ormai dice apertamente) che Rifondazione ha fatto il suo tempo e che
il “nuovo” e il “puro” passa attraverso il suo scioglimento.
Poi non ho dubbi che nelle
piazze e nelle lotte ci ritroveremo, perché questo impone la drammatica fase
che stiamo vivendo.