Da settimane stiamo
assistendo ad una grancassa mediatica, sostenuta con la voce grossa dalla
Confindustria, che spinge verso l’apertura pressoché indiscriminata di tutte le
attività produttive, quelle che non l’hanno già fatto in queste settimane
aggirando il tiepido divieto disposto dal governo.
E’ ora in atto una vera e
propria offensiva dei padroni, una sorta di feroce “cadornismo industriale” che
impone ai lavoratori di andare allo sbaraglio, di tornare al lavoro, come in
guerra, senza alcuna vera tutela della propria integrità fisica. Mai come in
questa situazione appare lampante che il profitto sta al di sopra di ogni cosa,
senza eccezione per la vita delle persone.
Riaprire-riaprire-riaprire:
questo il refrain che rimbomba, con poche varianti, dai pulpiti che contano e
dalle stanze del potere. Si tratta di una precisa scelta politica che prescinde
dalla situazione epidemiologica, anzi che la ignora, costi quel che costi.
Eppure non vi è alcuna
evidenza che la ‘fase 1’ del contagio sia ormai alle spalle. Al contrario. Il
numero dei morti e dei contagi è molto alto, al netto di quelli non censiti,
che sono una quantità esorbitante, soprattutto nelle zone più colpite
dall’infezione.
In Lombardia, epicentro del
dramma, la stessa Federazione Italiana di Medicina Generale rileva “l’assoluta
inconsistenza dei contenuti del documento sulla ‘fase2’ di recente approvato
dal Consiglio regionale” con riguardo alle proposte di riorganizzazione del
sistema sanitario. Un testo – dicono i medici - che altro non fa che riproporre
l’esistente.
Da ogni parte ci si affanna
ad assicurare che la ripresa delle attività dovrà essere condizionata al
rispetto di rigorose norme di sicurezza (riorganizzazione degli spazi,
distanziamenti, strumenti di protezione, sanificazione sistematica,
rimodulazione degli orari, controlli e via elencando). Il sindacato stesso ha
sottoscritto un’intesa di tal fatta con gli imprenditori: un simulacro che
potrà autoassolvere i contraenti dalle proprie responsabilità, ma che risulterà
in gran parte lettera morta.
Eccone i motivi:
1.
Gli imprenditori
cercheranno, ove più ove meno, di ridurre l’impatto delle misure di
salvaguardia che, se attuate seriamente, comportano un riflesso sulla
produttività ed un costo per lor signori difficile da digerire.
2.
I dati storici
sugli infortuni sul lavoro (a Brescia mai inferiori ai 18mila l’anno) e sulle
malattie professionali sono lì a dimostrare come, anche in tempi “normali”, la
cura delle direzioni aziendali per la sicurezza dei lavoratori sia una pia
illusione.
3.
Nella stragrande
maggioranza delle aziende (in un quadro caratterizzato dalla concentrazione
massiccia di piccole e piccolissime imprese) la ripresa sarà interamente
consegnata nelle mani dei padroni: nessuna applicazione dei protocolli di
sicurezza, nessuna sostanziale valutazione del rischio, nessuna effettiva
capacità di contrasto da parte dei lavoratori, controlli laschi o inesistenti
da parte dei servizi ispettivi.
4.
Persino nelle
aziende dove esiste ancora una forza e una reattività sindacale è tremendamente
difficile, per i lavoratori che hanno bisogno di lavorare per vivere, sottrarsi
al ricatto del padrone che minaccia ritorsioni o la chiusura definitiva
dell’attività ove le rappresentanze sindacali frappongano soverchie difficoltà.
5.
Molte attività, soprattutto
manifatturiere, sono caratterizzate da un’organizzazione rigida, con fasi di
lavorazione in sequenza, difficilmente modificabili.
6.
Il lavoro in
serie, a tempi rigidamente predeterminati, spesso molto faticoso, rende
impossibile indossare con continuità anche i dispositivi di protezione più
semplici, come le mascherine, ammesso (ma non concesso) che si rendano
disponibili, ciò che sino ad ora non è stato.
7.
Non si capisce
quali misure saranno tempestivamente adottate negli opifici dove uno o più lavoratori
contraessero il virus. Il certificato, cronico dissesto dei presidi sanitari
territoriali lascia presagire il peggio.
8.
Non si capisce
quali sanzioni saranno adottate nei confronti delle aziende inadempienti, con
quale efficacia si possa intervenire di fronte alle violazioni, prima che si
consumi la tragedia.
9.
Il trasporto
casa-lavoro dei lavoratori attraverso l’uso dei mezzi pubblici (dove non si
vede come sia possibile mantenere un adeguato distanziamento e una
sanificazione degli ambienti in tempo reale) sarà un inevitabile veicolo di
contagio di massa.
Non è dunque avventurarsi in
una profezia di sventura prevedere che il forzato passaggio alla “fase 2”
porterà con sé un rilancio della pandemia di vaste proporzioni, con conseguenze
gravissime per la vita delle persone e con ricadute sull’economia ben più gravi
di quelle che si verificherebbero mantenendo ed anzi accentuando, come sarebbe
necessario, le misure di fermo produttivo.
Trascurare queste elementari
considerazioni, frutto di un serio esame di realtà e buttare la palla avanti,
significherebbe soccombere di fronte alla peggiore ipoteca culturale del
liberismo imperante.
Naturalmente non basta dire
che tutto ciò che può generare contagio deve fermarsi, perché nel frattempo si
deve vivere e chi meno ha vede messa in gioco la propria sopravvivenza.
Ecco allora che occorre
subito costruire un consenso di massa intorno ad alcune scelte di politica
economica e sociale non più rinviabili:
1.
Lo stock di
ricchezza privata è in Italia enorme. In tempi normali non si è mai riusciti a
fare passare la convinzione che una tassa ordinaria sui grandi patrimoni è
giusta e necessaria. Oggi è indispensabile: per sostenere la spesa sanitaria e
il reddito di lavoratori e diseredati.
2.
L’aliquota
fiscale più alta dell’imposta sul reddito è passata dal 72% degli anni Settanta
all’attuale 43%. Bisogna impugnare come una clava l’articolo 53 della
Costituzione e rivendicare il ripristino della progressività del prelievo.
3.
Oggi, di fronte
al disastro, è forse più facile persuadere che non si può più convivere con
un’evasione fiscale come quella italiana che deve essere chiamata e percepita
per quello che è: un furto continuato dei ricchi contro i poveri, l’espressione
più nitida della dittatura di classe.
4.
La contesa messa
in scena nel Consiglio europeo sugli aiuti è un macabro valzer sulla pelle dei
popoli. Tutte le misure (nessuna esclusa) sin qui ipotizzate sono perfettamente
inscritte nell’architettura monetarista incardinata nei trattati che da
Maastricht in avanti hanno espropriato la sovranità del parlamento e ci hanno
resi prigionieri del debito e della speculazione. Tutto quello che costoro
hanno da proporre è di rispondere all’emergenza spalmando in varie forme (Mes e
dintorni) pochi quattrini, tutti quanti da imputare a debito. Quando usciremo
dal tunnel avremo sulle spalle un fardello enorme: deficit al 7-8% e debito del
155%, disoccupazione, redditi da lavoro drasticamente ridotti, impoverimento di
larghe masse. Proprio in quel momento dovremo restituire il debito per
rientrare nei parametri previsti dal fiscal compact e dal patto di stabilità,
con una sola ricetta già confezionata: nuovi tagli al welfare, alla sanità,
alle pensioni, ai salari, all’istruzione, alla ricerca, nessuno spazio per
investimenti capaci di creare lavoro pulito e un programma che ripensi
radicalmente il modello di sviluppo perseguito in questi decenni. Il capitale
scatenerà a quel punto una nuova, feroce offensiva tesa a fare pagare per
intero il prezzo del dissesto ai lavoratori con il corredo di misure repressive
e liberticide contro chiunque abbia ancora la voglia e la forza di opporsi.
5.
Quello che
bisogna con ogni forza rivendicare, qui ed ora, è che la Bce finanzi con le
proprie risorse (a fondo perduto, dunque non a debito, ma stampando moneta
nell’ordine di migliaia di miliardi) misure di sostegno alla sanità pubblica,
ai lavoratori, alle piccole imprese, senza l’intermediazione del sistema
bancario. Questo è ciò che occorre fare subito. Ed anche domani, quando con il
medesimo criterio si dovrà mettere mano ad un imponente programma di
investimento per il lavoro, per una riconversione ecologica dell’economia,
sostenuta e guidata dalla mano pubblica. O saremo in grado di tracciare oggi
una nuova strada, oppure la tenaglia si richiuderà su di noi, inesorabilmente.
La Grecia insegna. Questo è il momento di mettere in discussione l’intero TU
dell’Unione europea che è l’opposto diametrale della nostra Costituzione. O
questa o quello: tertium non datur!