Periodicamente siamo
inflazionati da finti dibattiti televisivi sulla disoccupazione.
Con poche eccezioni,
pseudo-politologi, improvvisati spin doctors, giornalisti perditempo, sociologi
che somigliano a fattucchiere che scrutano il futuro nella palla di cristallo
discettano sulla drammatica condizione di una generazione condannata alla
disoccupazione o al lavoro precario e servile o all’emigrazione in cerca di
fortuna.
Raramente il piagnisteo tocca
il cuore del problema e pressoché nessuno si spinge sino ad afferrare la cruda
verità e cioè che la disoccupazione è figlia legittima delle politiche
economiche e sociali promosse dall’Unione europea, sottoscritte con l’accordo
di Maastricht da tutti i paesi che fanno parte dell’eurogruppo. In Italia tanto
dai governi di centrodestra quanto da quelli di centrosinistra.
L’obiettivo dichiarato di
quei trattati, la missione sociale perseguita è quella di affermare il mantra
della competizione e il primato dell’autorità dei poteri finanziari, traducendo
le leggi del mercato in dogmi ed in leggi dello Stato, di tutti gli Stati
membri.
L’obiettivo è presto
spiegato. Se i capitali circolano liberamente, gli investitori faranno
confluire i loro fondi verso i paesi in cui maggiori sono i profitti, sicché le
politiche economiche nazionali saranno concepite in funzione di una
competizione per accreditarsi come il contesto capace di assicurare al meglio
la rendita più elevata. Il che sarà appannaggio dell’ordinamento nazionale che
più favorisce la moderazione salariale, rende la manodopera particolarmente
flessibile e abbassa la pressione fiscale sulle imprese. Con l’aggiunta di una
riduzione della spesa sociale e di un drastico ridimensionamento del perimetro
di azione dei poteri pubblici.
Il divieto per gli Stati di
effettuare investimenti in deficit, di produrre lavoro, chiude ogni spazio di
redistribuzione della ricchezza e di alimentazione della domanda.
Tutto il valore della
produzione viene incassato dall’impresa e l’avanzo primario viene sequestrato
per ridurre gli interessi sul debito.
La disoccupazione, dunque si
cronicizza.
Ma essa non è un incidente di
percorso, una conseguenza indesiderata di una linea di rigore monetario.
Essa è perseguita con metodo
perché consente l’indebolimento dei sindacati, agevola politiche di riduzione
dei salari e di compressione dei diritti individuali e collettivi, annichilisce
lo stato sociale e abbatte drasticamente le spese in previdenza, sanità e
istruzione, promuove politiche di privatizzazione dei servizi sociali che da
diritti esigibili diventano merci da acquistare sul mercato: la politica non
controlla, bensì sostiene il mercato e usa la sua forza per riprodurlo e inscriverne
le regole nelle tavole della legge.
L’Unione europea impiccata ai
parametri di Maastricht è insomma un Superstato di polizia economica, il
custode intransigente dell’ortodossia ordoliberale chiamato a realizzare quanto
auspicato da J.P. Morgan, il colosso finanziario statunitense tra i principali
responsabili della cisi economica e finanziaria scoppiata nel 2007, che in un
suo documento chiede di affossare le costituzioni europee generate dalla “forza
politica guadagnata dai partiti di sinistra al crollo del fascismo”.
Continueremo a sprofondare
nelle sabbie mobili finché non romperemo queste catene che ci stanno riducendo
in schiavitù.
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