giovedì 20 luglio 2017

All’armi son fascisti!





La lettera con cui il presidente nazionale dell’Anpi giudica controproducente l’ipotesi di un ricorso al Tar per invalidare l’insediamento di tre fascisti eletti a Mura nella lista denominata “Fascismo e libertà” impone a tutti – partiti politici, sindacati, associazioni culturali, reti antifasciste, semplici cittadini – una severa riflessione intorno al tema dell'insorgenza fascista e del concorso di fattori che la rendono possibile e sempre più debolmente contrastata.
Lo faccio qui in modo del tutto schematico, a partire dalla questione più immediata che riguarda il "cosa fare", aspetto sul quale, non a caso, si divaricano le opinioni nello schieramento antifascista, in forme spesso aspramente polemiche e, a mio parere, autolesionistiche.
Tralascio (non perché ininfluenti) gli aspetti strettamente di tecnica giuridica per stare al nocciolo della questione politica.
Non vi è dubbio che sarebbe stato necessario contestare immediatamente la decisione con cui la preposta commissione decise l'ammissione di "fascismo e lavoro" alla consultazione elettorale di Mura. La cosa è sfuggita a noi come in tutte le realtà - e sono tante! - dove formazioni fasciste e neo-naziste di varia consistenza hanno potuto presentarsi ed eleggere propri rappresentanti nelle istituzioni.
Già questo dovrebbe fare riflettere sul grado di assuefazione alla penetrazione dei neo-fascisti e dei neo-nazisti nella vita politica e sociale del Paese. Una presenza non più dissimulata, ma rivendicata a pieno titolo, come espressione di una moderna dialettica democratica.
Il fascismo, il nazismo non sono più crimini che la Storia ha già giudicato, ma vengono riesumati ed elevati al rango di opinioni, degne di avere libero corso.
Ora, tornando alla lettera di Smuraglia, egli sostiene che - al di là della dubbia legittimazione a promuovere il giudizio - una eventuale sconfitta in sede giudiziaria si ritorcerebbe contro di noi come un boomerang, con la conseguenza che un piccolo episodio locale diventerebbe il paradigma che sdoganerebbe i fascisti in una dimensione nazionale.
La cosa è senz'altro vera, come in tutti i casi di questa e di altra natura, ma lo è altrettanto che desistere significherebbe accettare la sconfitta in partenza, con l'aggravante che il preteso diritto di fascisti e consimili ad essere rappresentati a pieno titolo nell'architettura politica del Paese riceverebbe una oggettiva legittimazione.
Smuraglia sostiene anche che nello statuto dell'Anpi non vi è nulla che autorizzi l'organizzazione (sulla base di un interesse legittimo) a stare in giudizio. La cosa mi pare francamente sorprendente. Quale organizzazione più dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha nella propria stessa ragione di esistere, nella propria missione, lo scopo di combattere, in ogni sua forma, ogni manifestazione di fascismo.
E cosa resterebbe del recente deliberato congressuale in cui l’Anpi chiede la messa al bando di tutte le formazioni neo-fasciste se poi ci si sottraesse ad un atto volto ad impedire che esse irrompano nelle assemblee elettive. E quale messaggio metterebbe radici nella cittadinanza un simile cedimento.
Tuttavia, Smuraglia afferma che "ci sono altri casi, invece, in cui la legittimazione a stare in giudizio si può sostenere con relativa facilità".
Qui bisogna capirsi: la legittimazione non può esserci in alcuni casi ed in altri no: o c'è o non c'è. Inoltre non risulta (ma può darsi che qualcosa mi sfugga) che sia stato tentato alcunché in altri casi, neppure i più eclatanti, cito per tutti quelli di Bolzano o di Lucca dove nelle recenti elezioni comunali Casa Pound si è potuta presentare incassando importanti consensi senza che nessuno abbia mosso foglia.
Smuraglia spiega infine che bisognerebbe agire per via legislativa in quanto al momento "esiste solo una normativa del Ministero degli Interni, così malsicura che pendono in Parlamento disegni di legge per disciplinare, appunto per legge, la materia". Converrete, tuttavia, che affidarsi alla solerzia del parlamento, vale a dire all'intraprendenza antifascista dell'attuale "arco costituzionale" è più che un azzardo.
Dunque non si tratta di attendere, ma di agire e ora la palla torna a noi.
Non c’è nessuna certezza, ma dobbiamo tentare.
Anni fa, mi recai a Cardiff con una delegazione della Camera del lavoro di Brescia. Qui visitammo una miniera sopravvissuta, dopo una storica lotta dei suoi minatori e dell’intera comunità raccolta attorno ad essi, alla chiusura di tutti i pozzi, decretata dai Tories di Margareth Thatcher. Gli operai divenuti padroni della miniera che gestivano in forma cooperativa avevano scritto questa frase davanti al tunnel che li conduceva, quotidianamente, nelle viscere della terra: “Non c’è alcun disonore nella sconfitta, disonorevole è non aver mai tentato”.
Insegnamento prezioso, da non smarrire.
Vorrei ricordare che la XVIII Disposizione finale della Carta afferma che “la Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato”. Il dovere di osservarla e di farla applicare è dunque un compito di cui ogni cittadino è depositario in proprio.
Si tratta, in queste ore, di esplorare ogni possibilità legale di costituirci in giudizio ugualmente. Ricordo inoltre che un documentato esposto alla Procura della Repubblica è stato già presentato e che lo stesso tribunale ordinario può essere chiamato in causa.
Naturalmente, la lotta antifascista non si fa solo a colpi di carte bollate.
Il problema politico di fondo è che il fascismo si è in varie forme inoculato nella pancia del paese. E che l'approdo di tutte le forze politiche rappresentate in parlamento ad una comune cultura liberista di fondo, la "fatwa" scagliata da queste contro la Costituzione repubblicana, l'afasia di una sinistra perennemente in cerca di autore, la deriva di un sindacalismo che ha smarrito per strada la capacità di organizzare il conflitto sociale hanno ridato vigore alle forme anche più estreme di fascismo e di razzismo, divenute non più estranee ma adiacenti e addirittura interne alla cultura dominante.
La battaglia va condotta su tutti i fronti, nessuno escluso: culturale, politico, sociale, attraverso la lotta militante ed anche sul terreno giuridico, istituzionale. Insomma, agire dal basso e dall'alto.
So che quest'ultimo è un nervo scoperto (fra i tanti) anche a sinistra, dove alberga la tesi secondo cui ogni conflitto che si apre nelle articolazioni della stato borghese è tempo perso, anzi, un pericoloso diversivo. Ebbene, questo è il regalo più grande che si può fare ai poteri costituiti.
Proprio l'accanimento delle classi dominanti contro la Costituzione è invece lì a certificare quanto esse siano interessate tanto agli aspetti strutturali quanto a quelli sovrastrutturali e dimostra come sia stato importante sconfiggere a furor di popolo lo stravolgimento della Carta.
Consegnare le istituzioni della Repubblica alla deriva reazionaria, rendersi indifferenti alla degenerazione istituzionale, è un atto di grave primitivismo politico.