lunedì 27 aprile 2020

“Andrà tutto bene” (madama la marchesa)



Da settimane stiamo assistendo ad una grancassa mediatica, sostenuta con la voce grossa dalla Confindustria, che spinge verso l’apertura pressoché indiscriminata di tutte le attività produttive, quelle che non l’hanno già fatto in queste settimane aggirando il tiepido divieto disposto dal governo.
E’ ora in atto una vera e propria offensiva dei padroni, una sorta di feroce “cadornismo industriale” che impone ai lavoratori di andare allo sbaraglio, di tornare al lavoro, come in guerra, senza alcuna vera tutela della propria integrità fisica. Mai come in questa situazione appare lampante che il profitto sta al di sopra di ogni cosa, senza eccezione per la vita delle persone.
Riaprire-riaprire-riaprire: questo il refrain che rimbomba, con poche varianti, dai pulpiti che contano e dalle stanze del potere. Si tratta di una precisa scelta politica che prescinde dalla situazione epidemiologica, anzi che la ignora, costi quel che costi.

Eppure non vi è alcuna evidenza che la ‘fase 1’ del contagio sia ormai alle spalle. Al contrario. Il numero dei morti e dei contagi è molto alto, al netto di quelli non censiti, che sono una quantità esorbitante, soprattutto nelle zone più colpite dall’infezione.
In Lombardia, epicentro del dramma, la stessa Federazione Italiana di Medicina Generale rileva “l’assoluta inconsistenza dei contenuti del documento sulla ‘fase2’ di recente approvato dal Consiglio regionale” con riguardo alle proposte di riorganizzazione del sistema sanitario. Un testo – dicono i medici - che altro non fa che riproporre l’esistente.
Da ogni parte ci si affanna ad assicurare che la ripresa delle attività dovrà essere condizionata al rispetto di rigorose norme di sicurezza (riorganizzazione degli spazi, distanziamenti, strumenti di protezione, sanificazione sistematica, rimodulazione degli orari, controlli e via elencando). Il sindacato stesso ha sottoscritto un’intesa di tal fatta con gli imprenditori: un simulacro che potrà autoassolvere i contraenti dalle proprie responsabilità, ma che risulterà in gran parte lettera morta.
Eccone i motivi:

1.           Gli imprenditori cercheranno, ove più ove meno, di ridurre l’impatto delle misure di salvaguardia che, se attuate seriamente, comportano un riflesso sulla produttività ed un costo per lor signori difficile da digerire.
2.           I dati storici sugli infortuni sul lavoro (a Brescia mai inferiori ai 18mila l’anno) e sulle malattie professionali sono lì a dimostrare come, anche in tempi “normali”, la cura delle direzioni aziendali per la sicurezza dei lavoratori sia una pia illusione.
3.           Nella stragrande maggioranza delle aziende (in un quadro caratterizzato dalla concentrazione massiccia di piccole e piccolissime imprese) la ripresa sarà interamente consegnata nelle mani dei padroni: nessuna applicazione dei protocolli di sicurezza, nessuna sostanziale valutazione del rischio, nessuna effettiva capacità di contrasto da parte dei lavoratori, controlli laschi o inesistenti da parte dei servizi ispettivi.
4.           Persino nelle aziende dove esiste ancora una forza e una reattività sindacale è tremendamente difficile, per i lavoratori che hanno bisogno di lavorare per vivere, sottrarsi al ricatto del padrone che minaccia ritorsioni o la chiusura definitiva dell’attività ove le rappresentanze sindacali frappongano soverchie difficoltà.
5.           Molte attività, soprattutto manifatturiere, sono caratterizzate da un’organizzazione rigida, con fasi di lavorazione in sequenza, difficilmente modificabili.
6.           Il lavoro in serie, a tempi rigidamente predeterminati, spesso molto faticoso, rende impossibile indossare con continuità anche i dispositivi di protezione più semplici, come le mascherine, ammesso (ma non concesso) che si rendano disponibili, ciò che sino ad ora non è stato.
7.           Non si capisce quali misure saranno tempestivamente adottate negli opifici dove uno o più lavoratori contraessero il virus. Il certificato, cronico dissesto dei presidi sanitari territoriali lascia presagire il peggio.
8.           Non si capisce quali sanzioni saranno adottate nei confronti delle aziende inadempienti, con quale efficacia si possa intervenire di fronte alle violazioni, prima che si consumi la tragedia.
9.           Il trasporto casa-lavoro dei lavoratori attraverso l’uso dei mezzi pubblici (dove non si vede come sia possibile mantenere un adeguato distanziamento e una sanificazione degli ambienti in tempo reale) sarà un inevitabile veicolo di contagio di massa.

Non è dunque avventurarsi in una profezia di sventura prevedere che il forzato passaggio alla “fase 2” porterà con sé un rilancio della pandemia di vaste proporzioni, con conseguenze gravissime per la vita delle persone e con ricadute sull’economia ben più gravi di quelle che si verificherebbero mantenendo ed anzi accentuando, come sarebbe necessario, le misure di fermo produttivo.
Trascurare queste elementari considerazioni, frutto di un serio esame di realtà e buttare la palla avanti, significherebbe soccombere di fronte alla peggiore ipoteca culturale del liberismo imperante.

Naturalmente non basta dire che tutto ciò che può generare contagio deve fermarsi, perché nel frattempo si deve vivere e chi meno ha vede messa in gioco la propria sopravvivenza.
Ecco allora che occorre subito costruire un consenso di massa intorno ad alcune scelte di politica economica e sociale non più rinviabili:

1.           Lo stock di ricchezza privata è in Italia enorme. In tempi normali non si è mai riusciti a fare passare la convinzione che una tassa ordinaria sui grandi patrimoni è giusta e necessaria. Oggi è indispensabile: per sostenere la spesa sanitaria e il reddito di lavoratori e diseredati.
2.           L’aliquota fiscale più alta dell’imposta sul reddito è passata dal 72% degli anni Settanta all’attuale 43%. Bisogna impugnare come una clava l’articolo 53 della Costituzione e rivendicare il ripristino della progressività del prelievo.
3.           Oggi, di fronte al disastro, è forse più facile persuadere che non si può più convivere con un’evasione fiscale come quella italiana che deve essere chiamata e percepita per quello che è: un furto continuato dei ricchi contro i poveri, l’espressione più nitida della dittatura di classe.
4.           La contesa messa in scena nel Consiglio europeo sugli aiuti è un macabro valzer sulla pelle dei popoli. Tutte le misure (nessuna esclusa) sin qui ipotizzate sono perfettamente inscritte nell’architettura monetarista incardinata nei trattati che da Maastricht in avanti hanno espropriato la sovranità del parlamento e ci hanno resi prigionieri del debito e della speculazione. Tutto quello che costoro hanno da proporre è di rispondere all’emergenza spalmando in varie forme (Mes e dintorni) pochi quattrini, tutti quanti da imputare a debito. Quando usciremo dal tunnel avremo sulle spalle un fardello enorme: deficit al 7-8% e debito del 155%, disoccupazione, redditi da lavoro drasticamente ridotti, impoverimento di larghe masse. Proprio in quel momento dovremo restituire il debito per rientrare nei parametri previsti dal fiscal compact e dal patto di stabilità, con una sola ricetta già confezionata: nuovi tagli al welfare, alla sanità, alle pensioni, ai salari, all’istruzione, alla ricerca, nessuno spazio per investimenti capaci di creare lavoro pulito e un programma che ripensi radicalmente il modello di sviluppo perseguito in questi decenni. Il capitale scatenerà a quel punto una nuova, feroce offensiva tesa a fare pagare per intero il prezzo del dissesto ai lavoratori con il corredo di misure repressive e liberticide contro chiunque abbia ancora la voglia e la forza di opporsi.
5.           Quello che bisogna con ogni forza rivendicare, qui ed ora, è che la Bce finanzi con le proprie risorse (a fondo perduto, dunque non a debito, ma stampando moneta nell’ordine di migliaia di miliardi) misure di sostegno alla sanità pubblica, ai lavoratori, alle piccole imprese, senza l’intermediazione del sistema bancario. Questo è ciò che occorre fare subito. Ed anche domani, quando con il medesimo criterio si dovrà mettere mano ad un imponente programma di investimento per il lavoro, per una riconversione ecologica dell’economia, sostenuta e guidata dalla mano pubblica. O saremo in grado di tracciare oggi una nuova strada, oppure la tenaglia si richiuderà su di noi, inesorabilmente. La Grecia insegna. Questo è il momento di mettere in discussione l’intero TU dell’Unione europea che è l’opposto diametrale della nostra Costituzione. O questa o quello: tertium non datur!

Per voltare pagina



  
Le verità che la pandemia sta portando alla luce possono favorire un nuovo esame di realtà, aprire uno sguardo lungimirante sulla condizione umana nel tempo presente, incrinare la diga ideologica che ormai da decenni induce ad accettare come dogmi di fede rapporti sociali ed economici che stanno producendo la concentrazione delle ricchezze e del potere, l’impoverimento di una larga parte dell’umanità, l’irreversibile compromissione dell’ambiente naturale.

Lo shock collettivo che sta scuotendo la comunità intera, come accade durante gli eventi bellici, può però creare le premesse di una nuova “narrazione di senso comune”, affrancata dai luoghi comuni e dalla vulgata servile del mainstream asservito ai poteri dominanti: una cesura netta fra il prima e il dopo, un riscatto da decenni di scivolamento sul piano inclinato del liberismo economico e sociale.

Naturalmente è vero anche l’opposto, perché l’incancrenirsi della situazione sanitaria può trascinare con sé propensioni e tentazioni autoritarie gravi, limitazioni pesanti e con carattere permanente della democrazia, delle libertà e dello stesso assetto istituzionale.
Siamo probabilmente ad un bivio. Tocca a tutti noi lavorare perché si imbocchi la strada giusta.

Cominciamo da alcuni aspetti di immediata percezione.

·     Ognuno ha potuto osservare i ritardi, le incertezze, la confusione della fragilissima catena di comando che avrebbe dovuto fronteggiare sin dall’inizio la diffusione del virus.
·     Ordini, contrordini, plateali contraddizioni fra i livelli istituzionali, fra le restrizioni alla mobilità orientate a limitare il contatto fisico fra i cittadini e la libertà operativa quasi indiscriminatamente consentita alle filiere produttive, salvo correre tardivamente ai ripari con delibere governative e regionali che mantengono ancora oggi un ampio spazio di discrezionalità.
·     L’ipoteca di Confindustria sulle decisioni dei poteri costituiti ha concorso alla forte diffusione del virus, soprattutto nelle aree a forte concentrazione delle attività produttive. E’ apparso universalmente chiaro come la necessità di preservare il profitto privato prevalga sulla tutela dell’integrità fisica delle persone.
·     Tocca alle organizzazioni sindacali dei lavoratori correre ai ripari usando l’arma dello sciopero ovunque i padroni continuino ad usare i propri dipendenti come carne da macello.
·     La drammatica situazione sanitaria ha squadernato davanti agli occhi di tutti lo stato di depauperamento cui sono giunte le strutture sanitarie pubbliche del nostro Paese, del tutto inadeguate, proprio nei punti ritenuti di eccellenza, a sostenere il peso dell’assistenza e della cura delle persone che si ammalano. Lo stesso personale medico e paramedico che sta operando “in prima linea” viene duramente colpito dal virus in quanto privato di efficaci strumenti di protezione.
·     Coloro che dalle stanze del potere oggi chiamano retoricamente “eroi” gli operatori sanitari dopo avere ridotto la sanità pubblica ad un colabrodo, compiono un ributtante esercizio di ipocrisia.
·     I tagli dei finanziamenti alla sanità che si sono susseguiti ininterrottamente lungo almeno tre decenni hanno compromesso tanto le misure di prevenzione quanto l’accesso gratuito alle cure e hanno condannato la popolazione più debole, in primo luogo quella anziana, a soccombere sotto l’attacco mortale dell’infezione.
·     Sta emergendo in sede scientifica che l’alta diffusione del virus in Lombardia (largamente sottostimata dai dati ufficiali) e nelle altre regioni del centro-nord e l’altrettanto elevato tasso di mortalità abbiano una relazione specifica con i livelli di inquinamento dell’aria, in aree dove è già alta la mortalità per tumori e altre malattie alle vie respiratorie.
·     Ogni persona che trae dal lavoro le condizioni della propria esistenza può oggi constatare l’insufficienza delle misure di sostegno al reddito che non possono ridursi alla cig o alla cig in deroga. La probabilità che l’emergenza si protragga molto a lungo nel tempo rende vieppiù drammatica la prospettiva esistenziale per le classi sociali più deboli.
·     Nell’immediato è necessario prevedere un “reddito di quarantena” che sostenga con qualche efficacia la condizione di chi non può né lavorare né guadagnare.

Sotto lo schiaffo della pandemia, come in tempo di guerra, vengono in chiaro le vere cose che servirebbe fare e che costituiscono un vero e proprio programma politico di medio termine.

·     Rovesciando il paradigma dominante, occorre affermare che la salvezza del paese (di tutti i paesi) passa attraverso il rilancio del pubblico, per decenni vituperato e condannato ad una progressiva estinzione per asfissia, a partire dalla sanità e dall’istruzione, per arrivare all’intero sistema di protezione sociale.
·     Non si va da nessuna parte se non si inverte la corsa alle privatizzazioni: la prevenzione sanitaria, la riorganizzazione della struttura socio-assistenziale territoriale devono tornare ad essere un capitolo primario della spesa pubblica, rovesciando la tendenza al disinvestimento.
·     Un progetto di radicale riconversione ecologica dell’economia capace di contrastare il riscaldamento climatico globale mediante il ricorso alle fonti energetiche alternative e rinnovabili deve diventare il vincolo di tutte le politiche economiche e sociali (misure concrete di contrasto all’inquinamento dell’aria, trasporti pubblici su ferro, conversione dell’industria basata sulla combustione, ecc.).
·     In tal modo sarà possibile rimettere sui piedi il tema della sicurezza, nella sua vera accezione sociale, oggi rovesciata dalle classi dominanti e dal loro personale politico in una questione di ordine pubblico a forti tinte razziste e repressive.
·     Proprio la drammatica esperienza che stiamo vivendo dimostra che l’autonomia differenziata, sostenuta indistintamente da centrodestra e centrosinistra, è sotto ogni aspetto una colossale boiata da seppellire immediatamente.
·     Parimenti, l’assetto istituzionale degli enti pubblici territoriali deve cambiare radicalmente: le Regioni non hanno in alcun modo rappresentato, come nelle intenzioni originarie, la realizzazione di una democrazia di prossimità ma, al contrario, si sono rivelate una fonte di sprechi, di corruzione, di ipertrofia burocratica, favorendo la “balcanizzazione” del paese, la contrapposizione fra aree forti ed aree deboli, la rottura dei già fragili vincoli di solidarietà. Si tratta invece di unificare le prerogative in capo al parlamento nazionale, di valorizzare il ruolo dei Comuni, di ricostruire le Province, di promuovere forme di democrazia partecipata quali il nostro paese non ha mai conosciuto.
·     Mandare in soffitta la tesi secondo cui i soldi per fare gli investimenti necessari non ci sono (come dimostra l’enorme stock di ricchezza privata accumulata in Italia) e rendere chiaro che i 120 mld di evasione fiscale annui non sono un dato fisiologico con cui fatalmente convivere, ma una patologia di classe, una rapina che la parte più ricca della società perpetra ai danni della parte più povera e, alla luce di ciò che sta accadendo, un omicidio di massa che deve essere perseguito come reato grave affinché tale cominci ad essere percepito nell’opinione generale.
·     La progressività dell’imposta sul reddito deve essere ricondotta al livello degli anni Settanta.
·     Nell’immediato va introdotta un’imposta sui grandi patrimoni da utilizzare subito come tassa di scopo per fronteggiare l’emergenza.
·     Si tratta inoltre di tornare a porre la questione della tassazione delle rendite finanziarie e delle grandi corporation che continuano a lucrare condizioni fiscali straordinariamente privilegiate.
·     L’esorbitante impiego di risorse dedicate agli armamenti e alle missioni militari all’estero deve essere revocato e dirottato verso l’implementazione dell’infrastrutturazione sanitaria, della ricerca e del sostegno al reddito di famiglie e lavoratori.
·     Deve essere trasformato il ruolo dell’esercito, rendendolo un braccio operativo della Protezione civile.

Infine, ma non da ultimo, bisogna avere consapevolezza che la crisi sanitaria si trasformerà, inevitabilmente, in una catastrofe economica quale le generazioni del dopoguerra non hanno mai vissuto.
·     I poteri dominanti lo sanno e danno per scontata una drastica riduzione dell’apparato produttivo e un’altrettanta rovinosa caduta del Pil.
·     Chiunque può constatare come in queste ore non vi sia pulpito (liberaldemocratico) dal quale non si invochi la sospensione delle regole contenute nel patto di stabilità e uno sforamento del deficit sino a ieri ritenuto una bestemmia da sanzionare nel modo più severo. Con una essenziale postilla: che lo sforamento non può che essere provvisorio e che le regole vessatorie che costituiscono il telaio dell’architettura monetarista dell’Ue dovranno essere ripristinate non appena la crisi sarà superata. Con un “non detto” implicito, ma chiaramente contenuto nel Mes (Meccanismo economico di stabilità) e cioè che il surplus di debito contratto in questo periodo dovrà essere successivamente ripagato attraverso nuovi tagli al welfare e ai salari. La “spada di Brenno” della Bce e del Fmi caleranno a quel punto sul bilancio dei paesi membri dell’Ue lungo un precipizio senza fine.
·     L’occasione che invece si ripresenta ai popoli d’Europa è quella di prendere coscienza che tutto il corredo dei trattati europei è un attentato preordinato al welfare, ai salari, alla democrazia e ai fondamentali diritti di cittadinanza sanciti dalla Costituzione.
·     E’ ora di rendere tutti/e consapevoli che il rapporto deficit/pil e debito/pil, trasformati in indiscutibili “tavole della legge”, non sono che le tecnicalità attraverso le quali si esprime, nel tempo presente, il rapporto di capitale e il dominio della finanza sulla vita degli esseri umani.
·     E’ ora di rendere tutti/e consapevoli che Consiglio e Commissione europea da un lato e Banca centrale dall’altro concentrano nelle proprie mani un enorme potere discrezionale che si sovrappone alla Costituzione italiana sovvertendo le stesse fonti del diritto.
·     E’ ora di rendere tutti/e consapevoli che passata la bufera non si dovrà affatto ritornare alla distruttiva “normalità” precedente, ma si dovrà servirà mettere mano ad un grandioso piano per il lavoro, sostenuto da un poderoso impiego di risorse, finanziato, guidato, controllato dalla mano pubblica attraverso una radicale riforma della missione della Cassa depositi e prestiti: un investimento in deficit affrancato dall’incubo del debito e rivolto al risanamento e alla trasformazione di tutta l’infrastrutturazione primaria del Paese, fuori dal mito fraudolento delle grandi opere.
·     Bisogna uscire dalla contagiosa ubriacatura liberista che ha portato ad inserire nella Costituzione il vincolo al pareggio di bilancio.
·     Insistiamo: la ripresa non potrà ripercorrere la vecchia strada. Se c’è una cosa certa è che il treno rovinosamente deragliato non può essere rimesso sui vecchi binari.

Oggi viviamo in una condizione simile a quella di uno Stato di emergenza: vi sono forze sociali che considerano questo esperimento come un investimento sull’assetto futuro del Paese

·     Non c’è chi non veda come drastiche misure per la protezione della salute pubblica si impongano, ma non può sfuggire la pericolosità latente di una situazione che nei fatti si caratterizza come una sospensione della democrazia, dei diritti costituzionali, del funzionamento delle istituzioni democratiche: concentrazione di tutti i poteri nelle mani dell’esecutivo, marginalizzazione del parlamento, limitazione della libertà di opinione attraverso il controllo dei social e il sequestro discrezionale delle fonti di informazione, tracciabilità di tutti gli spostamenti individuali, provvedimenti di limitazione progressiva delle libertà personali per mezzo di atti amministrativi, ecc.
·     Il protrarsi nel tempo di questa situazione rischia di assuefare i cittadini ad una condizione di vita coatta non più semplicemente emergenziale ma ad una dimensione permanente e strutturale dell’organizzazione sociale: una nuova Costituzione, profondamente mutata in senso autoritario, che soppianta quella esistente.
·     La tendenza chiaramente in atto, già prima del diffondersi del virus, era del resto quella di un progressivo collasso della democrazia rappresentativa: sistema elettorale maggioritario, soglia di sbarramento, diminuzione dei parlamentari, rimessa a tema del presidenzialismo.
·     Di fronte a questo possibile, catastrofico scenario è indispensabile sviluppare tutte le forme di interazione, di dialogo, di confronto, di proposta; evitare che l’emergenza si trasformi in una stasi del pensiero, in una colonizzazione dell’immaginario sociale, in un ripiegamento della vita nella sfera puramente privata; affermare il valore della solidarietà e lo spirito di comunità come antidoti contro la paura, l’individualismo, la solitudine.