lunedì 9 aprile 2018

Intervento alla Direzione del Prc, 8 aprile 2018



Il segnale inequivocabile che va mandato a tutto il partito e a chi, all’esterno di esso, è sommamente interessato a capire come il Prc intende muoversi dopo le elezioni è che la scommessa sulla scelta di campo compiuta con Potere al Popolo non è il frutto di un’escogitazione elettoralistica (come altre ve ne sono state nel corso di questi anni), ma rappresenta una scelta di campo definitiva e l’investimento su un sistema di alleanze sociali e politiche che non cambia ad ogni stormir di foglia e che è nato per durare.

L’edificio in formazione è tuttavia ancora fragile e incompiuto, nel suo progetto politico, nella sua strutturazione organizzativa e nelle regole che ne devono plasmare il funzionamento democratico, salvaguardando i caratteri che lo rendono un fatto del tutto nuovo e contrapposto, per metodo e contenuti, a tutte le forze che si muovono nell’universo politico italiano.

Allora, con tutto lo schematismo imposto dai tempi brevi assegnati agli interventi, vorrei insistere su alcuni aspetti di preminente rilevanza in una fase in cui la confusione potrebbe portare ad esiti letali.

1.
Potere al popolo non è, non può e non deve trasformarsi in un partito, che è costruzione complessa, che non si improvvisa nell’urgenza di una competizione elettorale, che ha alla sua base una cultura condivisa, un’intelaiatura teorica, una pratica politica e sociale lungamente sperimentate. Tutto ciò non esiste, né potrebbe esistere a soli quattro mesi dalla nascita dell’eterogenea coalizione, la quale ha accettato la sfida del voto in un quadro generale che rendeva l’impresa a dire poco ardua.

Ma c’è un motivo più di fondo che dovrebbe scoraggiare ogni scorciatoia: un partito è per definizione, direi ontologicamente, in competizione con tutti gli altri partiti.
Un partito è un’associazione che guarda al tutto dal punto di vista di una parte. Se Potere al Popolo divenisse un partito dovrebbe a fortiori esigere lo scioglimento di tutte le altre organizzazioni politiche che in esso hanno deciso di confluire in ragione di un progetto condiviso, ma non esaurendo in esso tutta quanta la propria ragion d’essere. Non si può, dunque, aderire contemporaneamente a due partiti senza scatenare un cortocircuito, mentre si possono (e si devono) creare forme originali di organizzazione capaci di connettere fra loro progetti, pratiche sociali, ibridazioni culturali dalle quali tutti hanno qualcosa da imparare. Insomma un movimento in divenire.
Se dovesse invece prevalere la reductio ad unum, Potere al Popolo si trasformerebbe in una piccola setta, condannata ad escludere, piuttosto che ad includere.
Quel prezioso 1% conquistato nel marzo scorso non rappresenterebbe il primo mattone di una nuova storia, ma l’ennesimo colpo sparato a salve da un radicalismo politico rassegnato a coltivare solitarie certezze, ma incapace di parlare al di fuori della ristretta cerchia dei suoi adepti.

2.
Cos’è oggi Potere al Popolo? Potere al Popolo non è nella fase attuale neppure un movimento. Esso è una federazione di soggetti organizzati e di persone che hanno dato vita ad una coalizione elettorale fondata su un programma politico ispirato ad una radicale interpretazione ed attuazione delle parti socialmente e politicamente più avanzate della Costituzione repubblicana, cosa tutt’altro che trascurabile, se si pensa che sino a poco tempo fa erano in molti, nell’arcipelago della sinistra, a ritenere che la Carta non fosse altro che un mediocre compromesso borghese.
Ma da qui alla costruzione di un movimento passa molta acqua.
Allora cosa si può realisticamente fare? Cosa può diventare Potere al Popolo senza produrre accelerazioni divisive?
Credo che ciò che deve essere fatto consista nel mettere a fattor comune tutto ciò che è possibile.
Tutto ciò che ci unisce e che può crescere attraverso la promozione del conflitto, la discussione e l’approfondimento collettivo deve poi presentarsi nello spazio pubblico come Potere al Popolo.
Sul patrimonio politico comune, tutti (singoli e forze organizzate) eserciteranno una volontaria cessione di sovranità.

3.
Bisogna urgentemente dotarsi di una struttura organizzativa democratica e funzionante - senza provocare a nessuno secrezioni gastriche –, un’intelaiatura retta su tre gambe: forze politiche, movimenti sociali e singole persone, ciascuno di pari peso e dignità.
Le decisioni politiche – a meno di una specifica cessione di sovranità su questa o quella questione – non devono essere assunte a maggioranza, ma devono essere affrontate e risolte con il metodo della condivisione.
Si tratta di qualcosa di molto diverso dal banale diritto di veto; si tratta dell’impegno all’approfondimento e alla ricerca reale di sintesi superiori. Di fronte ad argomenti rilevanti si possono prevedere anche a consultazioni generali degli associati su punti dirimenti: non per tagliare la testa al toro, ma per fornire ulteriori elementi di valutazione che possano aiutare lo sforzo di sintesi. Se le divergenze persistono si continuerà a discutere, mentre ogni soggetto organizzato manterrà ed eserciterà su tali questioni la propria sovranità.
Importante è però l’atteggiamento che ciascuno assumerà nella discussione. Dovranno essere scansate come la peste propensioni che ancora qui e là affiorano a tagliare con l’accetta i nodi critici, a scagliare anatemi contro persone o punti di vista diversi dai propri.  
C’è chi continua a pensare che nella coalizione c’è chi è più Potere al Popolo di altri, ai quali viene ritagliato il ruolo di ospiti sgraditi. Ma attenzione, perché quando all’inclusività si sostituisce l’espulsività, quando prevalgono queste logiche divisive, gli epuratori di oggi diventano gli epurati di domani, secondo la più inveterata tradizione del settarismo gruppettaro.
Dunque deve chiudersi definitivamente la stagione in cui proliferano guru, sacerdoti, sacerdotesse, garanti, custodi del Verbo che amministrano in proprio il culto dell’ortodossia.
Queste “attenzioni” sono spesso rivolte nei confronti di Rifondazione, ma varrà la pena di ricordare a costoro che il Prc ha dato un contributo decisivo a “nazionalizzare” Pap, senza la qual cosa esso non sarebbe uscito da una dimensione meramente regionale o poco più.

4.
L’autonomia e il consolidamento di Potere al Popolo è importante anche per evitare che alle elezioni Europee del prossimo anno si torni a dividersi fra seguaci della cordata De Magistris-Varoufakis-Benoit Hamon, piuttosto che Melanchon o, addirittura, si rispolveri Tsipras e Syriza.

5.
Compiere un passo avanti comporta che si abbia la capacità di riaprire la discussione su questioni di portata strategica sin qui eluse o chiuse in formulette che possono andare bene in una campagna elettorale ma mantengono tutto il carico di ambiguità (come il tema Europa-euro, rimasto in una sorta di limbo); o che rappresentano due diverse strategie (piena occupazione vs reddito di cittadinanza, o come altro lo si voglia definire) fatte convivere nel programma per giustapposizione.

6.
Cosa sta succedendo nel corpo di Rifondazione? Molta confusione ma, soprattutto, emergono due posizioni:
a)  un eccesso, diciamo così, di “trasporto” per Potere al Popolo che sconfina nella convinzione che le energie vanno spese lì e il partito non c’entra più;
b)  la difesa ad oltranza del partito, di cui si teme lo scioglimento, quindi la sua difesa ad oltranza e la diffidenza nel progetto di Potere al Popolo.
Queste due posizioni, entrambe vittime di schematismo, debolezza teorica e primitivismo politico, hanno in comune la stessa radice: il partito fa così poco che: o lo si vuole trascendere in qualcosa d’altro che si crede la risposta più efficace ad una crisi ritenuta irreversibile, o lo si difende con un atteggiamento debolmente ideologico, quasi feticistico.
Ciò che entrambe le posizioni non comprendono è cosa il partito ci stia a fare. Non lo capiscono perché, per così dire, il muscolo è atrofizzato e l’iniziativa politica effettivamente ristagna, insieme alla povertà culturale e teorica dei suoi gruppi dirigenti che invecchiano inesorabilmente senza ricambio generazionale.
E non ce la si cava dicendo semplicemente che compito del partito è quello di organizzare la lotta di classe.
Bisogna andare più in profondità e dire cosa serve per assolvere a questo compito: stare nei conflitti sociali per unificarne il senso politico generale e trasformare l’embrionale coscienza di classe in matura coscienza politica di classe, formare quadri culturalmente attrezzati a questo compito di direzione, affinare la capacità di lettura dei processi sociali e politici ed elaborare una strategia di medio e lungo periodo, ricostruire il senso dell’identità comunista attraverso lo studio della Storia e attraverso una rinnovata conoscenza e utilizzazione del pensiero di Marx.
Questo lo può fare solo un partito comunista, come diciamo di voler essere, un partito capace di iniziativa e, contemporaneamente, rinnovato e rafforzato nel suo bagaglio teorico, capace di parlare a tutte le generazioni e a tutto il mondo dei subalterni; un partito che supera il carattere evanescente di una struttura lasca per riguadagnare una solida cultura dell’organizzazione.
Più sapremo innovare il partito in questa direzione e meglio garantiremo le stesse potenzialità di potere al Popolo.

7.
Infine, l’imminente consultazione amministrativa.
Dobbiamo evitare messaggi contraddittori, che ingenerino il sospetto che attraverso le elezioni comunali si faccia surrettiziamente rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta e insinuare l’idea che consideriamo l’esperienza di Potere al Popolo senza futuro.
Dunque l’indicazione dev’essere che ovunque possibile, ovunque ve ne siano le condizioni, si presenteranno liste di potere al Popolo.
Può darsi che non ovunque questo sia possibile o che, per storia e rapporti politici con forze, associazioni e movimenti che si muovono nel campo dell’antiliberismo ma che non hanno aderito a PaP, sia più utile costruire coalizioni più forti ed inclusive ma con altre sigle.
In questi casi bisogna però essere attenti e rigorosi. Una cosa non si può fare: resuscitare su scala territoriale sodalizi farlocchi con forze colluse col fronte liberal-liberista del quale ci siamo definitivamente sbarazzati.