Matteo
Renzi formato “american pie” è tornato dalla Silicon Valley rigenerato dopo la
rovinosa caduta sul piano inclinato del referendum, e carico – a suo dire - di
grandi e rivoluzionarie idee, deciso a rimontare in sella, anche se non si sa
più bene di cosa, considerato che il suo partito, esploso in cento pezzi, fra
transumanze, scissioni e abbandoni, è destinato ad esercitare un ruolo
secondario nella competizione politica, quando che sia la data della prossima
sfida elettorale.
Ebbene,
nel profluvio verboso di cui l’uomo non è mai avaro, c’è un’affermazione
davvero sensazionale che merita tutta la nostra attenzione.
Renzi
ha scoperto che nel corso della storia umana tutte le grandi invenzioni (“dalla
stampa all’automobile sino alla rivoluzione digitale”) hanno prodotto e
produrranno nel futuro ricadute tecnologiche il cui effetto è stato, come
inevitabilmente sarà nel futuro, quello di “creare problemi”, il più grave dei
quali è quello di generare disoccupazione.
La
mirabile conclusione cui Renzi perviene è che non si tratta di rispondere a
tutto ciò con misure come il reddito di cittadinanza e simili, poiché - udite
udite – è solo il lavoro che conferisce la cittadinanza ed anche la dignità,
come è scritto, ci ricorda l’ex premier, nell’articolo 1 della nostra
Costituzione (quella, per inciso, che lui ha tentato inutilmente di mandare in
soffitta).
Parole
sacrosante! Peccato facciano a pugni con tutte le misure adottate dal suo
governo che hanno avuto come tratto distintivo lo sviluppo della precarietà
(con l’estensione dei voucher), la compromissione della dignità dei lavoratori
(con la liquidazione dell’articolo 18), la distruzione di posti di lavoro
(attraverso l’amputazione della mano pubblica che non ha saputo promuovere e
finanziare investimenti). Sicché un giovane su due non trova lavoro, il tasso
di disoccupazione è al 13%, l’Italia non solo non cresce ma è in deflazione,
aumentano disuguaglianza, povertà assoluta e relativa.
Se
l’ex presidente del consiglio nonché ex segretario del Pd avesse letto la Legge
suprema dello Stato saprebbe che all’articolo 4 sta scritto che “la Repubblica
riconosce a tutti cittadini il diritto al lavoro”, non astrattamente, ma in
concreto, “e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”:
esattamente l’opposto di ciò che Renzi ha fatto, impedendo che fossero rimossi “gli
ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana”,
come sempre la Costituzione prescrive.
Per
mettere in atto questi aurei precetti servirebbero un grande piano per
l’occupazione (con poderosi investimenti pubblici nell’infrastrutturazione
primaria del paese), una massiccia riduzione dell’orario di lavoro a parità di
salario, il ripristino dei fondamentali diritti individuali e collettivi dei
lavoratori divenuti in tutti questi anni il bersaglio preferito dei governi di
centrodestra e di centrosinistra, in modo da sottrarli al ricatto padronale che
ostacola una ripresa della contrattazione collettiva e un sostanzioso
incremento delle retribuzioni ormai ai più bassi livelli d’Europa.
Questo
andrebbe fatto. Tutto il resto sono chiacchiere da imbonitori che non incantano
più nessuno.