La vera, straordinaria novità delle elezioni francesi non sta
nel risultato di Marine Le Pen e neppure nella pole position conquistata da Emmanuel
Macron, ultima risorsa dell’establishment finanz-capitalistico europeo.
Il fatto nuovo – un vero investimento sul futuro – sta in quel
quasi 20% ottenuto da Jean-Luc Mélenchon, capace di unire tutta la Gauche e di
farlo su un programma di radicale trasformazione della Francia, del suo assetto
istituzionale, delle sue politiche economiche e sociali, della politica estera
e del rapporto con l’Europa.
Basta elencarne i capitoli, nella loro esemplarmente chiara
semplicità, per comprendere di cosa si parli, finalmente fuori da ambiguità e
fumisterie.
Mélenchon propone di ridare alla Francia una democrazia
parlamentare, chiudendo la stagione del semi-presidenzialismo.
Il centro del programma è la restituzione di dignità al lavoro.
Come? State a sentire.
In una Francia tramortita dalle politiche di austerità, una
“riforma del lavoro” che rimetta al centro la questione sociale e i diritti dei
lavoratori attraverso queste misure:
-
abolizione della famigerata “Loi Travail”, parente stretta del
renziano “Jobs Act”, che deregolamenta il mercato del lavoro spalancando le
porte ai licenziamenti senza giusta causa;
-
aumento delle retribuzioni e fissazione di un salario minimo
inderogabile (a 1300 euro mensili);
-
riduzione dell’orario di
lavoro settimanale a 30 ore e a parità di salario;
-
partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese in
difficoltà;
-
introduzione di un’imposta progressiva sul reddito;
-
lotta serrata ai paradisi fiscali;
-
proprietà pubblica dei “beni comuni” (acqua, gas, energia);
-
separazione fra banche commerciali e banche d’affari;
-
nazionalizzazione della banca di Francia.
Mélenchon prende poi di petto il tema del ripristino della
sovranità nazionale violata dai patti europei, propone la rinegoziazione del
debito sovrano, il controllo dei movimenti di capitali, la revoca dell’accordo
di libero scambio con il Canada (CETA).
Per la prima volta dalla ratifica del “Trattato di Maastricht”,
una forza politica di sinistra mette nero su bianco l’ipotesi di uscita
unilaterale dalla moneta unica e dall’Unione Europea: con l’abbandono
dell’Unione e il ritorno alla moneta nazionale, Mélenchon inaugurerebbe una
nuova fase di protezionismo economico volto alla tutela dei lavoratori e delle
aziende d’interesse nazionale.
Il dogma acritico dell’europeismo a prescindere, il mantra degli
“Stati Uniti d’Europa” nonché la velleità di “riformare l’UE da dentro”, sono giudicati
come semplici artifici retorici o slogan propagandistici.
Infine, l’uscita dalla NATO, presentata come tappa fondamentale
per la riconquista dell’indipendenza nazionale, “è la base della rottura con
l’attuale atlantismo per una politica estera multipolare, sovrana e pacifica”.
Francamente, c’è molto da imparare. Anche per noi!