lunedì 27 novembre 2017

“Loro no”. Lo strano caso di Falcone e Montanari



 C’è qualcosa di oscuro nel comunicato con il quale Anna Falcone e Tommaso Montanari, promotori dell’iniziativa del Brancaccio, hanno deciso di ritirarsi dal campo, rigettando “equanimemente” tanto la decisione unilateralmente assunta da Mdp, Sinistra italiana e Possibile di formare una propria lista con un proprio programma, propri candidati ed un proprio leader estratto dal cilindro della mai esausta nomenclatura politica, quanto la determinazione di Rifondazione comunista di sottrarsi a questa rimasticatura di consunte pratiche verticistiche, utili solo a riciclare nel teatrino politico uomini che hanno calcato tutte le stagioni e che oggi si candidano a riprodurne i miasmi, appena mascherati da un tiepidissimo riformismo che ha in un nuovo centrosinistra il proprio orizzonte culturale, il proprio invalicabile perimetro politico.

Ebbene, noi avevamo apprezzato la radicalità con la quale Montanari (ben più che Falcone, a onor del vero) aveva posto la necessità di una svolta nei contenuti che dovrebbero connotare un progetto di profonda trasformazione del paese nel senso tracciato dalla Costituzione antifascista: una visione della società in chiara rottura con i compromessi politicisti e con le politiche reazionarie prodotte in egual modo dai governi di centrodestra e di centrosinistra.
Avevamo condiviso con Montanari il giudizio di irriformabilità del Pd, da tempo e irreversibilmente approdato sulle sponde del liberalismo.
Ebbene, la troika composta da Mdp, Si e Possibile ha ampiamente dimostrato di muoversi su un’altra lunghezza d’onda. Per questo ha fatto saltare il banco rivelando quello che era già visibile ad occhio nudo: costoro si muovono entro l’ordine costituito, non contro di esso. E non è certo un caso se anche nelle file di quei partiti stia salendo la protesta di quanti vedono che i loro capi stanno portando acqua ad un altro mulino.
Il listone alla sinistra del Pd auspicato da Montanari e Falcone era, con tutta evidenza, un’accozzaglia contraddittoria, nella quale convivevano progetti politici e sociali inconciliabili.
Possibile che almeno Montanari non se ne sia reso conto? Possibile che egli oggi si ponga in una posizione di simmetrica, ostile equidistanza, come se le profonde ragioni di merito che hanno portato alla rottura non siano che dettagli insignificanti, come se ci si trovasse di fronte ad opposti settarismi?!
E poi viaggia un’altra palese mistificazione.
Rifondazione non sta lavorando ad una “propria lista con l’aggiunta di altri soggetti”, come scrivono Falcone e Montanari.
Rifondazione ha semmai aderito ad un movimento dal basso che non si è rassegnato al fallimento del Brancaccio per mettere in moto un percorso partecipativo di soggettività politiche e sociali, di singole persone che ne faccia vivere sul serio spirito, metodo e contenuti.
Senza primogeniture, né maggiorenti, né sacerdoti, né garanti che si erigano ad arbitri del destino comune.

lunedì 20 novembre 2017

Non mettiamo la testa sotto la sabbia: riparte (dal basso) il progetto di un cambiamento radicale del Paese



 Lo sforzo generoso di molti e di molte che hanno creduto e sinceramente sperato di trovare nella convenzione del Brancaccio l’incipit di un processo capace di portare  ad una coalizione di forze sociali e politiche, di movimenti, di soggettività non addomesticate dal politicantismo, uniti nella  determinazione di non soccombere sotto i colpi del liberismo imperante, ha trovato un ostacolo insormontabile nella troika formata da Mdp, Sinistra italiana e Possibile che hanno tentato di sequestrate quel progetto, stravolgendolo e mutandolo nel suo opposto.

Come è evidente di fronte alla prova dei fatti, costoro non pensano affatto di costruire un’alternativa programmatica al Partito democratico.
Costoro si propongono unicamente di disarcionare Renzi per riprendersi il governo del partito, senza mutarne la linea di fondo, senza opporgli una visione dei rapporti sociali che faccia davvero piazza pulita dello scempio che i governi di centrodestra e di centrosinistra hanno fatto della Costituzione repubblicana, dei diritti sociali, della libertà coniugata con l’uguaglianza che dovrebbero rappresentare la bussola del rinnovamento radicale che oggi si impone come una necessità assoluta.

Il centrosinistra rimane il perimetro entro il quale si muove la compagnia di giro che tenta di contrabbandarsi presso la disorientata opinione pubblica “come nuova sinistra”.

Alla presa d’atto che di questo si tratta non deve tuttavia corrispondere un “rompete le file”, un mesto abbandono del campo.

Al contrario, una volta tolto di mezzo l’equivoco che avrebbe trasformato l’ambizioso progetto di voltare pagina nella riedizione di vecchi metodi e di vecchie politiche; una volta chiarito che non si tratta di riciclare nei luoghi della rappresentanza istituzionale personaggi che tanta responsabilità portano nel degrado di questo tempo presente; una volta constatato che esiste nel corpo sociale un’autentica disponibilità ad un cambiamento sostanziale, si tratta di volgere altrove lo sguardo, come sabato hanno invitato a fare le centinaia di giovani che avevano preso parte al Brancaccio, i quali non hanno alcuna intenzione di sgomberare per lasciare il campo al politicantismo di coloro che si candidano a non cambiare nulla.

Hanno chiamato a raccolta tutti i non rassegnati in un’assemblea che si è svolta al teatro Italico per dire che “se nessuno si fa carico dei nostri bisogni proveremo a rappresentarci da soli”.

Un discorso semplice, chiaro e straordinariamente maturo, anche perché privo di arroganza, e tuttavia consapevole che il tempo di alzare la testa è ora.

Quei ragazzi e quelle ragazze (lavoratori precari, disoccupati, classe media in declino, studenti disperati, pensionati poveri) hanno detto che non ci stanno a vedersi calare addosso una pietra tombale, stretta fra populismo reazionario e pseudo-riformismo, uniti nel disinteresse verso chi occupa i gradini più bassi della gerarchia sociale.
Rifondazione è andata a quell’incontro e ha risposto che sarà della partita, che vi concorrerà profondendovi tutta la passione dei propri militanti e che se una lista di sinistra può e deve nascere, nascerà da qui, in un percorso democratico, dal basso, senza ipoteche di maggiorenti e sacerdoti, perché questa è la rotta giusta.

Siamo dunque ai prodromi di una novità importante e di una svolta, che non ha come obiettivo soltanto quello di non mancare un appuntamento elettorale, ma di rappresentare un investimento per il futuro. Il futuro della sinistra e del paese.

lunedì 13 novembre 2017

L’indecente accrocchio che si spaccia per “nuova sinistra”



Mdp, Sinistra italiana e Possibile hanno alla fine confezionato su misura il proprio vestitino elettorale, con il solo, palese obiettivo, ormai dichiarato senza infingimenti, di conquistare in qualsivoglia modo, un posticino nel parlamento della Repubblica.
Uno strapuntino o poco più, che sarà verosimilmente appannaggio della nomenclatura ex-piddina, variamente disarticolatasi nel corso di questi mesi, ma rianimata dalla sola voglia matta di prendersi una rivincita nei confronti del pessimo Renzi.

Per fare cosa? Questo pare un dettaglio insignificante. Basta dare un’occhiata al documento programmatico sottoscritto dai tre per rendersi conto che al netto di qualche scontata dichiarazione di principio non c’è niente: niente di niente.

Nulla sulla premessa che fu all’origine dell’assemblea del Brancaccio, vale a dire l’irrevocabile giudizio sull’irriformabilità del Pd, di tutto il Pd, non soltanto di quello a trazione renziana, perché nella sua interezza guadagnato ad una cultura politica liberista; nulla, se non un' impalpabile allusione alla riforma dell’Ue e soprattutto nulla sulla necessità di revocare i trattati che ne formano l’ossatura antisociale; nulla sull’alleanza militare di cui l’Italia è succube e sulla necessità di rompere quel perverso sodalizio guerrafondaio; nulla sulle misure incostituzionali e anti-popolari varate dal governo Monti (dall’abrogazione dell’articolo 18, alla cancellazione delle pensioni di anzianità all’allungamento dell’età pensionabile, al taglio drastico degli ammortizzatori sociali): tutte misure adottate con il consenso attivo di Berlusconi e della truppa di Bersani allora alla guida del Pd.

Ora costoro vorrebbero accreditarsi come espressione di una sinistra che ritrova se stessa, ma non vi è niente che autorizzi una simile ragionevole speranza.

Pare persino che ci sia già il leader in pectore della neonata coalizione, quel Pietro Grasso che da presidente della Camera non ha mosso un dito (come avrebbe potuto e dovuto fare) per impedire che si votasse la fiducia sull’ennesima legge elettorale incostituzionale.

Oggi Tommaso Montanari, promotore del Brancaccio, dimostrando un rigore morale, prima ancora che politico, che gli fa onore, ha annullato l’assemblea del 18, sparando a palle incatenate su Mdp, Sinistra italiana e Possibile che hanno dimostrato di non avere capito nulla del progetto che dal Brancaccio aveva preso le mosse.
Sbaglia invece, Montanari, quando attribuisce a Rifondazione una simmetrica volontà di ipotecare pro domo sua l’assemblea del 18.
Quel “riprendiamoci il Brancaccio”, dal petto uscito dopo la scoperta che Mdp, Sinistra italiana e Possibile stavano sequestrando l’assemblea per pilotarne l’esito nella solita palude politicista, indicava, certo veementemente, la necessità di tornare al progetto originario, quello che con tenacia Montanari torna a riproporre come unico terreno utile per la ricostruzione di una sinistra degna di questo nome.

Quanto a Sinistra italiana, pare abbia finito di sbattere da una sponda all’altra come una pallina da flipper.
Del resto, come recita un vecchio adagio: “Si cade sempre dalla parte dove si pende” e il trasformismo, l’opportunismo non sono certo merce rara nel mercato politico di questo paese.

Un opportunista, per la sua stessa natura, eviterà sempre di prendere una posizione chiara e decisa, cercherà sempre una via di mezzo, si divincolerà sempre come un serpente tra due punti di vista che si escludono a vicenda, cercando di concordare con entrambi e di ridurre le proprie divergenze di opinione ad insignificanti obiezioni, dubbi, innocenti e pii consigli”.
Si esprimeva così, molti anni fa, un certo Vladimir Uljanov, detto Lenin, uno che di queste cose si intendeva.

lunedì 6 novembre 2017

Così stanno facendo a pezzi la Costituzione che noi vorremmo applicare



 Torniamo di nuovo sulla mancata rivalutazione delle pensioni che, non dimentichiamolo, rappresenta la plateale violazione di un diritto.
Lo facciamo perché ora è intervenuto un fatto nuovo, che spiega molte cose.

Ricorderete che nel 2015 una sentenza della Corte Costituzionale aveva bocciato il blocco delle pensioni, obbligando il governo Renzi a varare un decreto con cui, senza riparare davvero al maltolto, erogava ai pensionati poveri una modesta mancia.

Ciò aveva indotto migliaia di pensionati a fare causa al governo e all’Inps, proprio in ragione di quella sentenza.
Non pochi giudici ritennero quei ricorsi fondati e, doverosamente, rinviarono il giudizio conclusivo alla Corte Costituzionale medesima.

Ma questa volta il giudizio è stato rovesciato, in quanto la Corte ha ritenuto che la soluzione adottata dal governo (la misera mancia di cui si è detto) rappresentava “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”.

Dunque, ci troviamo di fronte ad una radicale rimozione dell’articolo 3 della Costituzione che stabilisce con parole di una chiarezza adamantina che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

D’ora in avanti, quelli che la legge fondamentale dello Stato riconosce come diritti inalienabili, costitutivi del diritto di cittadinanza, possono essere messi in mora per ragioni di bilancio, le cui priorità, non dimentichiamolo mai, sono stabilite dai governi e dagli interessi di cui essi sono portatori.

Ma come tutto ciò è stato possibile? Qual è il fondamento giuridico di un simile voltafaccia della Corte.

Ebbene, esso sta nella modifica dell’articolo 81 della Carta, approvata con i voti del centrosinistra e del centrodestra, operazione consumata nel più assoluto riserbo, senza il minimo dibattito pubblico e senza nessun contributo informativo da parte dei media su una legge di così grande importanza che cambia nel profondo la gerarchia del diritto.

E cosa dice questa modifica? Una cosa semplice e micidiale e cioè che la Costituzione impone allo Stato e agli enti locali il rispetto del pareggio di bilancio, dunque l’impossibilità di ricorrere a nuove spese per finanziare la gestione ordinaria.
Questa norma, perfettamente conforme al dogma liberista imposto dall’Europa di Maastricht e sancita dagli accordi che ne sono seguiti, sta autorizzando il saccheggio di ogni sovranità nazionale, con la diretta complicità delle forze che odiano la Costituzione e il modello di società che essa delinea, un modello che fonda la libertà sull’uguaglianza.