sabato 19 ottobre 2019

Dal Salvimaio al Mazzinga: facciamo un po' di chiarezza


Negli sviluppi della crisi di governo aperta da Salvini c’è un fatto positivo ed uno solo, sebbene non secondario.
Il caporione leghista che arringava le masse rivendicando per sé pieni poteri, come Mussolini nel ’22 e Hitler nel ’33, ha fatto harakiri, come il Riccardo Terzo della tragedia shakespeariana.
L’intenzione di provocare la fine della legislatura e andare a nuove elezioni per riscuotere il dividendo elettorale che gli attribuivano i sondaggi era manifesta come lo era il suo progetto politico: superare con Fratelli d’Italia la soglia fatidica del 40 per cento, disporre della maggioranza assoluta in parlamento, eleggere il futuro presidente della Repubblica, cambiare la Costituzione in forma presidenziale, ipotecare il Csm e la Corte costituzionale, occupare tutte le posizioni di potere, rafforzare i poteri dell’esecutivo.
Fascismo? Cripto-fascismo? Para-fascismo? Oppure niente di tutto questo “perché la storia non si ripete”? Lascio questa contesa alle sottili quanto inutili querelle pseudo-intellettualistiche che paiono valzer intorno al vuoto.
So per certo che l’intenzione, anche questa non dissimulata, era quella di costruire – passo dopo passo – le condizioni di una svolta profondamente autoritaria, di una mutazione istituzionale profonda, estranea non soltanto alla democrazia costituzionale, ma anche alla democrazia liberale (primato del parlamento, Stato di diritto, divisione dei poteri), lungo una traiettoria di formale liquidazione dell’antifascismo come identità della nazione. Negarne il carattere eversivo significa indossare i panni del manzoniano don Ferrante che, come ognuno ricorda, morì di peste negandone l’esistenza.
E’ altrettanto evidente che il Pd abbia cercato di intestarsi la funzione di baluardo contro il salvinismo, rilanciando – pro domo sua – la coazione elettoralistica bipolare che ha condizionato, anche grazie al sistema elettorale maggioritario, la dinamica politica degli ultimi venticinque anni. Ma ciò non toglie che il pericolo di un governo di estrema destra fosse (sia) un pericolo reale.
Bene, dunque, che si sia formato un governo che per il momento scongiura “quel” rischio incombente.
Tuttavia, i fatti positivi finiscono qui, perché in nessun modo il governo Pd-M5S può rappresentare qualcosa di positivo per il Paese.
La decisione di Sinistra italiana di entrare nel governo è un fatto grave, perché ripropone la subalternità di quella formazione al Pd. Non conterà nulla e sarà un vaso d’argilla fra vasi di ferro; dovranno bere, a colpi di fiducia, ogni sorta di nefandezza. La loro scelta segna, con tutta evidenza, la fine de “La Sinistra”, la coalizione elettorale che aveva alimentato qualche speranza.
Quello nato in parlamento è il governo “Ursula Von Der Leyen”, espressione dei poteri forti e dell’establishment finanz-capitalistico europeo. Con il di più di confusione, di dilettantismo e di trasformismo che sono caratteri tipici della storia politica patria nelle fasi di crisi e di decadenza morale.
A questo governo occorre opporsi con ogni determinazione. Per farlo è indispensabile che ciò che rimane della frastagliata, litigiosa, ultraminoritaria sinistra di classe di tutte le confessioni, trovi la forza, la maturità di rompere gli steccati dell’autoreferenzialità, di finirla con la lotta intestina fra “mosche cocchiere” e provi a costruire un programma di svolta politica capace di parlare a grandi masse, di interloquire senza presunzione né sudditanze con i movimenti sociali e con i sindacati, tutti i sindacati.
Sembra che una qualche resipiscenza si stia facendo strada: occorre coltivare con serietà questa neonata virtù, per dare un senso a ciò che si fa, considerato che, sino ad oggi, tutti i micro-partiti della sinistra-sinistra sono usciti dai radar, non solo dei media ma, ciò che più conta, delle larghe masse degli sfruttati.
C’è un documento in 10 punti sottoscritto da una cinquantina di intellettuali [1][1], con una latitudine politica che va da Tomaso Montanari a Guido Viale, intitolato “Dieci punti per un governo che riparta dalla Costituzione”, tale da rappresentare un terreno utilissimo per rilanciare un terreno condiviso di azione politica e sociale. Non contiene tutto: il capitolo “lavoro”, ad esempio, deve essere sostanziato con precise proposte su salario e pensioni, serve dire cose ben più robuste su Europa e alleanze militari, ma nel suo insieme indica un percorso molto interessante e tendenzialmente, almeno a me pare così, unificante.
Credo, infine, che questo percorso vada intrapreso tanto a Brescia quanto a livello nazionale. Forse quando lo proponemmo lo scorso anno le cose non erano ancora mature. Oggi lo sono di più.
Guido Viale, intitolato “Dieci punti per un governo che riparta dalla Costituzione”, tale da rappresentare un terreno utilissimo per rilanciare un processo condiviso di azione politica e sociale. Non contiene tutto: il capitolo “lavoro”, ad esempio, deve essere sostanziato con precise proposte su salario e pensioni, serve dire cose ben più robuste su Europa e alleanze militari, ma nel suo insieme indica un percorso molto interessante e tendenzialmente, almeno a me pare così, unificante.
Credo, infine, che questo percorso vada intrapreso tanto a Brescia quanto a livello nazionale. Forse quando lo proponemmo lo scorso anno le cose non erano ancora mature. Oggi lo sono di più.


Dieci punti per un governo che riparta dalla Costituzione

Il momento è serio: è il momento di essere seri.
Non possiamo dire che c’è un pericolo fascista, e subito dopo annegare in quelle incomprensibili miserie di partito che hanno così tanto contribuito al discredito della politica e alla diffusa voglia del ritorno di un capo con «pieni poteri». I limiti del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico sono tanti, gravi ed evidenti. Ma se, per entrambi, può esistere il momento del riscatto: ebbene, è questo. Da cittadini, da donne e uomini fuori dalla politica dei partiti ma profondamente preoccupati dell’interesse generale, proponiamo di partire dall’adozione di questi dieci punti fondamentali, interamente ispirati al progetto della Costituzione antifascista della Repubblica.
E in particolare al suo cuore, l’articolo 3 che tutela le differenze (di genere, di cultura, di razza, di religione) e impegna tassativamente a rimuovere le disuguaglianze sostanziali. È del tutto evidente che ognuno di questi punti comporta un impegno pressante dell’Italia nella ricostruzione di una Unione Europea che provi ad assomigliare a quella immaginata a Ventotene, e cioè in armonia e non in opposizione al progetto della nostra Costituzione.
1. Legge elettorale proporzionale pura: l’unica che faccia scattare tutte le garanzie previste dalla Costituzione. Per mettere in sicurezza la Costituzione stessa: cioè la democrazia.
2. L’ambiente al primo posto: la decarbonizzazione per combattere il cambiamento climatico, l’impegno per una giustizia ambientale, locale e globale, come unica strada per la salvezza della Terra. Dunque: difesa dei beni pubblici: a partire dall’acqua e dalla città. Unica Grande Opera: messa in sicurezza di territorio e patrimonio culturale, nel più stretto rispetto delle regole, e attuata attraverso un piano straordinario di assunzione pubblica. Moratoria di tutte le grandi opere (Tav incluso), e consumo di suolo zero. Un piano per le aree interne e un piano per la mobilità che parta dai territori, dalle esigenze delle persone e dei pendolari. Piano pubblico di riconversione ecologica della produzione e del consumo incentrato sull’efficienza energetica e sul recupero dei materiali di scarto.
3. Lotta alle mafie e alla corruzione. Costruire una giustizia più efficiente investendo risorse, mezzi e personale necessari. Garantire l’autonomia della magistratura e la sua rappresentatività nell’organo di autogoverno.
4. Ricostruzione della progressività fiscale e imposte sulla ricchezza (imposta di successione e patrimoniale) e revisione costituzionalmente orientata della spesa pubblica, a partire dalla drastica riduzione della spesa militare. L’autonomia differenziata, che è di fatto la secessione delle regioni più ricche, va fermata: restituendo invece centralità alle politiche per il Mezzogiorno.
5. La libertà delle donne come metro di un’intera politica di governo: lotta senza quartiere alla violenza sulle donne; perseguire l’obiettivo della parità nella occupazione e salariale; congedo di paternità obbligatoria, asili nido pubblici e gratuiti, assistenza agli anziani e alle persone disabili, campagne per la condivisione dei compiti di cura, etc.
6. Lotta alla povertà: reddito di base vero (diretto a tutti coloro che percepiscono meno del 60 % del reddito mediano del Paese, accompagnato da politiche attive del lavoro e interventi formativi volti alla promozione sociale e civile della persona), e attuazione del diritto all’abitare.
7. Parità di diritti per tutti i lavoratori e le lavoratrici (ovunque e comunque lavorino), a partire dal diritto soggettivo alla formazione per tutto l’arco della vita. Lotta alla precarietà, salario minimo e ripristino dell’articolo 18.
8. Progressivo rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale e programma di assunzioni di operatori e professionisti del Servizio sanitario nazionale, i cui standard devono essere omogenei e non differenziati per regione.
9. Abolizione del reato di immigrazione clandestina, abrogazione dei decreti sicurezza e politica di accoglienza verso i migranti orientata sulla Costituzione e sull’assoluto rispetto dei diritti umani.
10. Restituire scuola e università alla missione costituzionale, negata dalla stratificazione di pessime riforme: formazione dei cittadini e sviluppo del pensiero critico.
Velio Abati, Angela Barbanente, Piero Bevilacqua, Anna Maria Bianchi, Ginevra Bompiani, Adrian Bravi, Carlo Cellamare, Luigi Ciotti, Francesca Danese, Vezio De Lucia, Gianni Dessì, Donatella Di Cesare, Paolo Favilli, Giulio Ferroni, Goffredo Fofi, Nadia Fusini, Luca Guadagnino, Maria Pia Guermandi, Francesca Koch, Ernesto Longobardi, Maria Pace Lupoli, Laura Marchetti, Franco Marcoaldi, Lorenzo Marsili, Alfio Mastropaolo, Ignazio Masulli, Tomaso Montanari, Rosanna Oliva, Francesco Pallante, Enzo Paolini, Pancho Pardi, Rita Paris, Valentina Pazè, Livio Pepino, Tonino Perna, Anna Petrignani, Antonio Prete, Mimmo Rafele, Andrea Ranieri, Lidia Ravera, Marco Revelli, Pino Salmè, Battista Sangineto, Loretta Santini, Giuseppe Saponaro, Enzo Scandurra, Beppe Sebaste, Toni Servillo, Paola Splendore, Corrado Stajano, Sarantis Thanapoulis, Alessandro Trulzi, Nicla Vassallo, Guido Viale, Vincenzo Vita.