"Mi hanno sempre detto... tu sei una quercia che ha
cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta...
la figura è bella e qualche volta piango... ma guardate il seme, perché la
quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia
famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa
dell'uomo".
(Alcide Cervi)
La Loggia “non aveva gli
strumenti” per impedire la manifestazione fascista di Forza Nuova di sabato
scorso. E’ questa, in sintesi, la risposta che il presidente del Consiglio
comunale di Brescia ha ritenuto di dare alla lettera nella quale denunciavo la
latitanza dell’amministrazione cittadina, della Giunta e del Consiglio tutto di
fronte all’impressionante recrudescenza fascista a cui assistiamo da tempo, in
un crescendo di toni ed episodi che sarebbe prova di cecità non vedere o,
peggio, sottovalutare. Mi riferisco alle aggressioni, alle intimidazioni di
ronde paramilitari che sempre più frequentemente frequentano le strade di città
e provincia, alle manifestazioni pubbliche sempre più ricorrenti con il corredo
di tutta la tradizionale iconografia fascista e nazista, all’apologia del
ventennio nero che dilaga su internet e su pubblicazioni per nulla dissimulate,
agli eventi pseudo-culturali che spacciano per neutrali ricostruzioni della
storia patria surrettizie esaltazioni dell’era fascista, fino alla
presentazione di liste elettorali in cui la denominazione “Fascismo e libertà,
partito nazional-socialista” contorna riquadri al cui centro campeggia un
fascio littorio.
Spero converrà, la
maggioranza politica che amministra il comune di Brescia, che tutto ciò non è
derubricabile a folclore, o a libero confronto fra le idee (come sabato scorso
mi ha candidamente rivelato un funzionario di polizia).
E allora, tornando al dunque,
può darsi che il Comune di Brescia non potesse impedire lo svolgimento del presidio
di Forza Nuova. Vediamo invece cosa poteva (e doveva fortissimamente) fare, ma
non ha fatto.
Poteva innanzitutto prendere
posizione, dire che quell’atto insultante viola la Costituzione antifascista e
antirazzista, insieme ad un altro paio di leggi dello Stato; poteva compiere un
passo verso il Prefetto, che giura fedeltà alla Costituzione, e al Questore,
affinché proibissero – come è nelle loro certe prerogative – la scorribanda
nera; poteva aderire e partecipare, come tale, magari con il sindaco in fascia
tricolore, alla manifestazione antifascista che la questura aveva
paradossalmente deciso di vietare. Se il Comune avesse fatto ciò che poteva e
doveva fare, forse le cose sarebbero andate in altro modo e il messaggio inviato
a tutta la città sarebbe stato inequivoco, per il presente e per il futuro.
Il presidente del Consiglio
comunale ha poi rivendicato la sua personale presenza alla manifestazione di
sabato a dimostrazione della solidità della propria fede antifascista. Bene che
vi sia stata, ovviamente, ma credo di non dovere spiegare quale enorme differenza
vi sia fra una testimonianza privata e un atto politico pubblico.
So che i miasmi e le tossine
di cui è impregnata la politica nazionale alimentano le peggiori pulsioni e che
si diffonde una percezione di impunità e di protezione fra gli autori delle
gesta di cui stiamo parlando. Col risultato che ogni volta viene loro la
tentazione di alzare il tiro, di aumentare la posta. Fino a dove lo sappiamo,
per averlo già visto.
Ma proprio per questo non si
può transigere oltre. Questo episodio, ultimo fra i tanti, deve servire a
correggere la rotta. Altrimenti l’ignavia pusillanime diventa parente della
complicità.
Dino Greco