lunedì 28 novembre 2016

Renzi: fra mance e ricatti per estorcere un Sì




 Ricordate Il grande Totò che mette in scena la parodia dell’imbonitore che promette mirabilie per piazzare la sua merce scadente?: “Venghino signori, venghino, io non son qui per vendere, son qui per regalare”.

Ebbene, la farsa, che ora rischia ti tramutarsi in tragedia si ripete sotto i nostri occhi, a spese nostre e della democrazia repubblicana.
Dopo avere spaccato il paese in due, dopo avere accarezzato l’idea malsana di concentrare tutto il potere nelle proprie mani, il guappo di Rignano è preso dalla paura blu di non farcela. E allora, visto che gli italiani non sembrano disposti a bere la minestra avvelenata, gioca sporco, più sporco del solito, mischiando promesse e minacce, mance e profezie di sventura se non dovessimo dargli retta, se non dovessimo gradire il “Sì” che egli pretende di estorcerci il 4 dicembre.
E allora via con le promesse, che tanto poi, a babbo morto, chi se ne ricorderà, e se mai dovesse ricordarsene cosa potrà più farci.
Così compaiono “bonus” da ogni parte e per ogni tasca: bonus paternità, bonus per la cultura e ora anche per la musica per i neo-diciottenni, bonus per le future mamme, bonus per gli asili nido, recupero di un’altra tranche di “esodati”.
C’è un problema al Sud dove i sondaggi danno il “No” in chiaro vantaggio? Niente paura! c’è pronta una mancia elettorale anche lì: saranno prorogate le decontribuzioni per i nuovi assunti.
Il corruttore si avvale di un imponente apparato mediatico che in barba ai doveri elementari di una corretta informazione propala senza decenza le sue balle a getto continuo.
E tuttavia l’uomo è preso dal sospetto che tutto ciò non basti. E allora brandisce la clava chiodata e minaccia, minaccia, minaccia. E torna da dov’era partito, da quel “se perdo me ne vado”, che aveva per un breve periodo tolto di mezzo su suggerimento dei suoi superpagati consulenti. Ora, in preda al delirio, ha ricominciato a farneticare, paventando l’avvento di “governi tecnici” nel caso prevalgano i No. Insomma, Renzi torna con quel refrain del “dopo di me il diluvio” che sta da solo ad indicare la pericolosità di quest’uomo e del suo disegno reazionario.
L’ultima tegola gli è franata addosso con la sentenza della Corte che ha annullato la legge Madia che voleva attuare le privatizzazioni esautorando le regioni. Renzi è sbottato e se l’è presa con la “burocrazia” che per lui, appunto, è sinonimo di “democrazia”. Vuole comandare e basta, insofferente ad ogni regola. Come tutti i dittatori, dichiarati o mascherati.
La strategia della tensione è in pieno dispiegamento. Dopo Confindustria, dopo Bankitalia, dopo i grandi gruppi finanziari, ecco fare irruzione il Financial Times, il quotidiano della City londinese che spara la sua cannonata: “Italiani, votate Sì, altrimenti 8 banche italiane saranno a rischio di fallimento”.
Ma cosa c’entra la Costituzione con il dissesto delle banche? Ovviamente nulla ma, come nel paese dei balocchi, lor signori pensano si possa dire di tutto.
Mettiamoli alla porta.




lunedì 21 novembre 2016

Fermiamo i rottamatori della Costituzione





Più si avvicina la scadenza del voto e più crescono l’angoscia e l’accanimento protervo con cui il Pd e i peggiori cortigiani di Renzi tentano di truccare i termini della contesa. Nell’impresa di contraffazione della verità si avvalgono di un dispiegamento mediatico che non ha precedenti: via etere e tramite carta stampata assistiamo ad un bombardamento ossessivo che oscura le ragioni del “No” o le rappresenta in modo caricaturale, mentre esalta con martellante ripetitività quelle del “Sì”: Renzi è dappertutto, esce ormai anche dal buco dei lavandini. Il monopolio comunicativo, l’occupazione ossessiva dello spazio pubblico dà un’idea di ciò che potrà accadere se l’esito del referendum consegnerà a Renzi l’esorbitante potere che egli rivendica. A ben vedere, proprio l’arroganza messa in mostra rivela più di ogni altra cosa le intenzioni sue e del blocco di potere che gli è avvinto.
Costoro hanno travolto tutto, persino la Carta dei valori del Pd del 2008 dove si trova scritto, letteralmente, questo: “La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione di limitazione di tutti i poteri. Il Partito democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale”.
C’è da non credere ai propri occhi! Ora costoro stanno facendo l’esatto opposto. E a farsene protagonista è proprio il governo, che per definizione dovrebbe astenersi da ogni intervento sulla Costituzione.
Provate a immaginare, di fronte ad un simile precedente, cosa accadrebbe se ogni governo, ogni coalizione che conquistasse il potere dovesse sentirsi in diritto di cambiare radicalmente la Legge fondamentale, alterandone principi e cambiando la forma dello Stato, a proprio piacimento. Sarebbe la stessa idea di Costituzione ad essere distrutta. Si annienterebbe ogni forma di coesione sociale, si preparerebbe uno stato di guerra civile permanente dalle conseguenze drammatiche.
Il crinale oggi è proprio questo.
Siamo di fronte ad un bivio: o si sta con i “deformatori” e si cancella la Costituzione nata dalla sconfitta del fascismo, oppure si batte questo disegno reazionario e si rilancia la lotta per la piena applicazione della Costituzione, dei principi di giustizia, libertà ed uguaglianza che ne costituiscono il cuore, ma che negli ultimi trent’anni sono stati via via calpestati.
Guardate da che parte sono schierate le associazioni imprenditoriali (tutte), le banche, i grandi attori della speculazione, i poteri europei protagonisti delle politiche di austerità che hanno impoverito i popoli, defraudandoli di ogni sovranità e capirete quali sono gli interessi in gioco in questa partita.
Il 4 dicembre possiamo, dobbiamo fermarli.

lunedì 14 novembre 2016

Lezioni americane







Lezioni americane

A cose fatte assistiamo ad uno sciame di piagnistei fra i democratici e progressisti americani ed europei per la vittoria di Donald Tramp, il quale contro il pronostico di quasi tutti i media statunitensi ha incassato oltre 60 milioni di voti e vinto in 29 Stati, proprio in quelli decisivi del midwest operaio dove deindustrializzazione, disoccupazione e caduta dei salari hanno morso di più e dove l’affluenza al voto è stata superiore a quella del 2012.
Per capire cosa è successo e perché occorre fare un passo indietro. Nelle primarie democratiche era prepotentemente emerso un fatto nuovo che si chiama Bernie Sanders. Il settantaquattrenne senatore indipendente del Vermont aveva deciso di entrare in lizza per la presidenza nel partito democratico, si era definito socialista, senza se e senza ma, e aveva presentato un programma di nettissima impronta sociale quale mai si era visto nella storia delle elezioni presidenziali americane. Sanders aveva tutto contro di sé,
e invece ha preso ben 13 milioni di voti e ha vinto in 15 Stati. I giovani hanno visto in lui un candidato lontano anni luce dal funzionamento corrente dell’economia e della società e l’hanno votato con una percentuale del 71%, con punte dell’86% in Nevada, dell’84 in New Hampshire, dell’80% negli Stati del Midwest. Per quattro mesi egli ha destabilizzato il sistema politico statunitense, ha fatto tremare l’establishment, ha rischiarato il plumbeo orizzonte delle anemiche sinistre mondiali. L’esito era segnato, ma questa scossa ha fornito un’indicazione nitida per un possibile percorso alternativo. La conventio ad excludendum regna sovrana nel sistema politico statunitense rigidamente bipolare: i tentativi di fondare un terzo partito sono sempre stati respinti e neutralizzati. Fin dall’800 negli USA c’è stato un fortissimo pregiudizio antisocialista: con interventi di milizie private della Pinkerton contro scioperanti e manifestanti. A differenza di Hillary Clinton, Sanders non ha mai votato a favore della guerra in Iraq; a differenza di Barack Obama, non è uno che promette di chiudere Guantanamo e dopo 8 anni quella vergogna sta ancora lì; né è uno che scende a patti con le banche.
Sanders ha sempre tenuto un linguaggio che ricorda quello di Franklin Delano Roosevelt. Il voto per Sanders ha espresso l’indignazione di fronte allo strapotere delle banche, di fronte alla doppia legalità, una che vale per i comuni cittadini e una che vale per Wall Street e per la grande finanza che può sperperare miliardi di dollari e che comunque non pagherà mai perché sarà sempre salvata da uno Stato complice.
Sanders ha commesso solo un errore. Quello di non portare lo scontro sino alle estreme conseguenze; quello di andare in soccorso di Hillary Clinton; quello di non cogliere l’occasione di fare ciò che non era mai accaduto prima: rompere la coazione verso i due partiti tradizionali, entrambi espressione delle classi dominanti; quello di non fondare il Partito socialista d’America.
Così ai cittadini non è rimasto che scegliere fra la Clinton, creatura di Wall street, dell’establishment finanziario, delle lobbies armiere militari legate al Pentagono, e il miliardario newyorkese, razzista, misogino, omofobo, contrario alla cultura ambientalista, ma almeno a parole disposto a farsi carico della disoccupazione, degli investimenti necessari alla ripresa interna e altrettanto ostile alla politiche aggressive della Nato. Molti americani hanno così scelto fra le sole due pietanze loro offerte, fra la padella e la brace.

domenica 6 novembre 2016

La miserabile parabola di Gianni Cuperlo




Dunque Gianni Cuperlo, detto cuor di leone, ha passato il guado ed è rientrato in buon ordine nei ranghi renziani, abbandonando la già tiepida pattuglia della sinistra interna che ha invece ribadito il suo No allo stravolgimento della Costituzione.
Cuperlo ha invece annunciato il suo Sì, come conseguenza, così ha spiegato, dell’accordo da lui personalmente raggiunto con gli uomini di Renzi per una futura modifica della legge elettorale.
I punti che lo hanno convinto alla giravolta sarebbero la disponibilità del Pd a rinunziare al ballottaggio (purché venga istituito un sistema che garantisca ugualmente la governabilità); poi l’attribuzione del premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista (cioè al partito) e infine una soluzione che elimini i capilista bloccati.
Ma se si elimina il ballottaggio cosa accadrà ove la soglia del 40% necessaria per ottenere il premio di maggioranza non venga raggiunta? Certo non vorranno tornare alla redistribuzione proporzionale dei seggi. E allora cosa faranno? Abbasseranno quella soglia in dimensioni così vistose da consentire l’incasso del premio a minoranze ancora più risicate?
La seconda innovazione consisterebbe nel ritorno al premio di coalizione, utile a dare fiato ad un Pd ridimensionato dai recenti insuccessi elettorali e preoccupato che il dispositivo inventato per il Pd medesimo finisca per favorire i 5 Stelle. In questo modo si potrebbe ricompattare il centro-sinistra ed ottenere anche il consenso di Berlusconi che vede nel premio alla coalizione la sola possibilità di tenere insieme un centro-destra altrimenti diviso e condannato alla sconfitta. Naturalmente, in cambio di un voto favorevole del caudillo di Arcore alla riforma costituzionale.
Buio ancora più intenso sulla questione dei capilista bloccati che farà del parlamento, ancora più di oggi, un’accolita di nominati.
Cuperlo crede, fortissimamente vuole credere, nelle promesse di Renzi, perché pensa che da una sua sconfitta possa venire una caduta del governo e il declino del Pd a cui tiene come le pupille dei suoi occhi. Ma le promesse di Renzi sono scritte sull’acqua – come ha capito persino Bersani – e se c’è una possibilità di mettere le mani sull’infame Italicum questa è proprio quella di votare No il prossimo 4 dicembre e bocciare la revisione costituzionale.
Del resto, quanto a promesse disattese, il Pd detiene un primato ineguagliabile, anche a proposito della Costituzione.
Sentite cosa c’era scritto nella Carta dei valori del Pd del 2008: La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”.
Sembra incredibile, ma è l’esatto opposto di quello che oggi i rottamatori della Costituzione stanno facendo. Evidentemente la loro parola vale come il loro screditato personale politico: niente.

mercoledì 2 novembre 2016

Goro, Ferrara, Italia


Vogliamo dire due parole a quella parte degli abitanti dei comuni di Goro e di Gorino (in provincia di Ferrara) che si è resa responsabile della ripugnante cacciata di dodici donne e dei loro bambini, giunti nel nostro paese dopo un’odissea vissuta per terra e per mare.
Persone disperate che avrebbero dovuto essere ospitate in un ostello e che invece hanno subito il vigliacco ostracismo di quegli “onesti cittadini” i quali non hanno esitato ad elevare barricate per sbarrare la strada al pullman che trasportava i profughi per poi festeggiare e brindare al successo della loro nobile impresa.
C’è di straordinario che coloro a cui voi “onesti cittadini” avete negato la più elementare accoglienza, coloro a cui avete detto “di voi non ci frega un cazzo” non vi portano rancore, esprimono solo meraviglia.
“Ci siamo rimaste male quando abbiamo capito che la popolazione non ci voleva, forse perché non conosce le nostre storie”, hanno detto Belinda, Joi e Faith.
Noi, invece, in quanto vostri concittadini, noi che vi conosciamo bene, vogliamo rivolgere un semplice augurio a voi “timorati di Dio”, a voi che avete usato la prepotenza e il pugno di ferro per distruggere, insieme al brandello di speranza che tiene ancora in vita quelle sfortunate persone, anche l’ultimo briciolo di umanità che avrebbe dovuto vietarvi un comportamento così abietto.
L’augurio che vi rivolgiamo è di rinascere un giorno nelle medesime condizioni di coloro di cui vi siete fatti persecutori, di sentire cosa si prova a vivere sotto le bombe, a subire le più atroci torture, ad essere depredati di ogni avere, a subire le stesse inaudite violenze, a vedere le proprie donne violentate, i propri figli scaraventati dai barconi annegare fra i flutti. E infine, una volta giunti senza nulla più avere sulle sponde di un paese che si crede civile, vi auguriamo di incontrare l’accoglienza che voi avete loro riservato.
Tutto questo auguriamo di cuore a voi e a tutti coloro che in ogni parte d’Italia avrebbero seguito o già stanno seguendo il vostro squallido esempio. Perché è solo vivere sulla propria carne quell’esperienza che vi può insegnare qualcosa e restituirvi la dignità umana che avete perduto.
Leggiamo anche che il presidente del consiglio, Matteo Renzi, avrebbe detto che quella di Goro “è una vicenda molto difficile da giudicare”, perché “da un lato c’è comprensione, anche se non condivisione, nei confronti di una popolazione molto stanca e preoccupata, e dall’altra 11 donne e 8 bambini”.
Eccolo qui, l’ipocrita al lavoro. “Da una parte, dall’altra”, dice. I piatti della bilancia sono in equilibrio, dunque come si può giudicare. E se non si può giudicare, come prendere posizione? E soprattutto, come agire?
Avrebbe potuto evitare, almeno per una volta, di fronte ad una vicenda così grave, di lisciare il pelo agli istinti che trasudano un così spietato egoismo. Ma Renzi ha preferito non inimicarsi coloro che, a differenza dei profughi, a votare ci vanno. E si sa dove batte il suo cuore.