La metamorfosi del Partito
democratico sta giungendo rapidamente al suo ultimo stadio.
Dopo la sconfitta subita nel
referendum del 4 dicembre scorso, Matteo Renzi – archiviate le promesse di
abbandono della politica e metabolizzata con sollievo la scissione della
minoranza interna – si sta dedicando al grande rientro nella politica attiva,
per altro mai abbandonata per interposto governo Gentiloni.
L’auto-riciclaggio è avvenuto
nei giorni scorsi grazie al lavacro della consultazione degli iscritti, sebbene
meno della metà di questi abbiano preso parte al voto e solo un decimo abbia preso
parte alla discussione, di una inconsistenza disarmante, che si è svolta nei
circoli di partito. Il tutto si è risolto nella conta dei voti, amministrata
dai signori delle tessere, fra contestazioni e denunce di brogli che ormai si verificano
ad ogni appuntamento di quel partito. Al punto che neppure i tre competitori (Renzi,
Orlando ed Emiliano) sono riusciti a mettersi d’accordo sull’esito del voto.
Fatto sta che – al netto del
litigio - due terzi dei consensi sono andati all’ex-segretario che ha ripreso col
piglio di sempre i toni arroganti da capo bastone, potendo vantare, questa
volta, l’investitura degli iscritti.
Si può dunque affermare che
il Pd, o ciò che ne è rimasto, è davvero e per grande parte il “partito di
Renzi”, a lui legato per intima convinzione.
Non si può più ritenere, come
per un po’ qualcuno aveva pensato, che sotto l’ala renziana continuasse a
battere, nella base, un cuore non ancora addomesticato alla cultura liberista. Non
è più così, se mai lo è stato.
Renzi ora è davvero e sino in
fondo il padrone di una formazione politica che senza infingimenti o
camuffamenti ha dichiaratamente ripudiato ed espiantato anche la più pallida
ispirazione di sinistra.
Ma c’è di più. Dopo la
consultazione degli iscritti, ora si passerà al referendum aperto a chiunque
voglia parteciparvi, per cui la nomina da parte del Pd del futuro candidato
premier potrà essere condizionata/influenzata/determinata anche da forze ad
esso estranee e persino opposte e antagoniste.
Renzi è oggi meno sicuro di
ieri di pescare consensi a destra, non già perché il contenuto della sua
politica dispiaccia a lor signori, ma solo perché Forza Italia torna a sperare
di giocarsela in proprio la partita, considerato che il “re mida” l’ex enfant prodige della politica italiana
ha rivelato di essere ben poca cosa.
Del resto, il fatto che la prossima
volta si andrà alle urne con una legge – quale che essa sia – non più
maggioritaria e che l’ambizione a lungo coltivata di potere disporre di un
potere totalitario è stata spazzata via dal voto del 4 dicembre spingerà Renzi
a muoversi nel brodo che gli viene più naturale, quello dell’inciucio politico,
lungo la scia dei governi bipartisan inaugurati da Mario Monti, sotto la sferza
dell’Unione europea e della Banca centrale.
Questo è ciò che passa la
miseria della politica italiana, più che mai periferia del mondo, prigioniera
di meschini giochi di potere e congiure di palazzo, dove nulla di significativo
e di decente accade mai, tranne il servilismo verso gli oligarchi che hanno
fatto a pezzi l’indipendenza del paese e sequestrato la sovranità che la
Costituzione riconosce in via esclusiva al popolo italiano.
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