lunedì 10 aprile 2017

La metamorfosi annunciata: dal PD al PDR



 La metamorfosi del Partito democratico sta giungendo rapidamente al suo ultimo stadio.
Dopo la sconfitta subita nel referendum del 4 dicembre scorso, Matteo Renzi – archiviate le promesse di abbandono della politica e metabolizzata con sollievo la scissione della minoranza interna – si sta dedicando al grande rientro nella politica attiva, per altro mai abbandonata per interposto governo Gentiloni.
L’auto-riciclaggio è avvenuto nei giorni scorsi grazie al lavacro della consultazione degli iscritti, sebbene meno della metà di questi abbiano preso parte al voto e solo un decimo abbia preso parte alla discussione, di una inconsistenza disarmante, che si è svolta nei circoli di partito. Il tutto si è risolto nella conta dei voti, amministrata dai signori delle tessere, fra contestazioni e denunce di brogli che ormai si verificano ad ogni appuntamento di quel partito. Al punto che neppure i tre competitori (Renzi, Orlando ed Emiliano) sono riusciti a mettersi d’accordo sull’esito del voto.
Fatto sta che – al netto del litigio - due terzi dei consensi sono andati all’ex-segretario che ha ripreso col piglio di sempre i toni arroganti da capo bastone, potendo vantare, questa volta, l’investitura degli iscritti.
Si può dunque affermare che il Pd, o ciò che ne è rimasto, è davvero e per grande parte il “partito di Renzi”, a lui legato per intima convinzione.
Non si può più ritenere, come per un po’ qualcuno aveva pensato, che sotto l’ala renziana continuasse a battere, nella base, un cuore non ancora addomesticato alla cultura liberista. Non è più così, se mai lo è stato.
Renzi ora è davvero e sino in fondo il padrone di una formazione politica che senza infingimenti o camuffamenti ha dichiaratamente ripudiato ed espiantato anche la più pallida ispirazione di sinistra.
Ma c’è di più. Dopo la consultazione degli iscritti, ora si passerà al referendum aperto a chiunque voglia parteciparvi, per cui la nomina da parte del Pd del futuro candidato premier potrà essere condizionata/influenzata/determinata anche da forze ad esso estranee e persino opposte e antagoniste.
Renzi è oggi meno sicuro di ieri di pescare consensi a destra, non già perché il contenuto della sua politica dispiaccia a lor signori, ma solo perché Forza Italia torna a sperare di giocarsela in proprio la partita, considerato che il “re mida” l’ex enfant prodige della politica italiana ha rivelato di essere ben poca cosa.
Del resto, il fatto che la prossima volta si andrà alle urne con una legge – quale che essa sia – non più maggioritaria e che l’ambizione a lungo coltivata di potere disporre di un potere totalitario è stata spazzata via dal voto del 4 dicembre spingerà Renzi a muoversi nel brodo che gli viene più naturale, quello dell’inciucio politico, lungo la scia dei governi bipartisan inaugurati da Mario Monti, sotto la sferza dell’Unione europea e della Banca centrale.
Questo è ciò che passa la miseria della politica italiana, più che mai periferia del mondo, prigioniera di meschini giochi di potere e congiure di palazzo, dove nulla di significativo e di decente accade mai, tranne il servilismo verso gli oligarchi che hanno fatto a pezzi l’indipendenza del paese e sequestrato la sovranità che la Costituzione riconosce in via esclusiva al popolo italiano.

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