lunedì 20 febbraio 2017

Pd: una tragicommedia sulle spalle di un paese sfibrato




Se qualcuno cercasse uno straccio di tema reale, comprensibile alla gente comune, su cui si sta avvitando lo psicodramma nel gruppo dirigente del Pd, rimarrebbe con un sacco vuoto in mano.
Sembra di assistere ad una soap opera, e della peggiore qualità, per giunta. Un valzer intorno al vuoto che vede alternarsi sul proscenio una truppa di figuranti che cianciano istericamente di cose incomprensibili, lontane anni luce dai drammi quotidiani di milioni di persone che da costoro attendono risposte ai propri problemi. Risposte che non verranno perché l’oggetto del contendere fra quegli inguardabili duellanti non sono diverse strategie politiche, diverse concezioni dei rapporti sociali, diverse terapie per rispondere alla crisi. Non c’è nulla di tutto questo nella commedia che va in onda a reti unificate, con i maggiorenti del partito (apparentemente) impegnati a sbranarsi, a minacciarsi, poi a riappacificarsi, per poi di nuovo dividersi, di puntata in puntata, di rinvio in rinvio del redde rationem, che non avviene mai su ciò che conta davvero, perché non c’è proprio nulla di sostanziale su cui consumare una insanabile rottura.
Nulla, beninteso, se non il potere, intorno al quale si sviluppano trame, alleanze che si consumano nel volgere di pochi giorni o di poche ore perché frutto di convenienze e ambizioni personali prive di progetto e di visione politica.
Sarebbe un esercizio vano cercare nell’assemblea di ieri un solo intervento nel quale siano stati evocati temi come la disoccupazione, la povertà, la disuguaglianza, il decadimento del sistema di protezione sociale, o l’esproprio della sovranità popolare da parte di una Ue che serve solo gli interessi speculativi del capitale finanziario, o il dramma di un processo migratorio al quale si sanno dare soltanto risposte repressive.
No! Il vero contenzioso spazia su altri scenari: da una parte Renzi, che cerca di sopravvivere a se stesso andando rapidamente ad un confronto interno che sbaragli l’ opposizione interna e lo riproponga come padrone indiscusso di un Pd definitivamente trasformato in partito personale del suo capo; dall’altra i suoi competitori, che di Renzi si vogliono liberare, tanto come candidato alla presidenza del consiglio quanto come segretario del partito. E che per farlo hanno bisogno di cuocerlo a fuoco lento, tenendolo lontano dal potere e protraendo sino a scadenza naturale, fino al 2018, la vita dell’inguardabile governo-fotocopia di Gentiloni.
Ebbene, ce n’è uno, uno soltanto, fra costoro, che si stia minimamente preoccupando della manovra da 3mld e 400ml (fra tagli alla spesa e nuove tasse) che il governo si è impegnato a varare entro aprile, obbedendo al diktat con cui l’Ue ha intimato all’Italia di saldare il conto delle spudorate mance elettorali di Renzi? No, non ce n’è nemmeno uno. Vivono – tutti quanti – in una bolla sospesa in aria, alimentata dal servilismo dei media di regime.
Una rottura profonda, tuttavia, si sta davvero creando. E’ la rottura fra questo modo di intendere la politica e i cittadini.
Urge una risposta a sinistra, per ora assente.

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