lunedì 27 febbraio 2017

Renzi scopre che il lavoro è un diritto. Ma lui i diritti li ha fatti a pezzi



Matteo Renzi formato “american pie” è tornato dalla Silicon Valley rigenerato dopo la rovinosa caduta sul piano inclinato del referendum, e carico – a suo dire - di grandi e rivoluzionarie idee, deciso a rimontare in sella, anche se non si sa più bene di cosa, considerato che il suo partito, esploso in cento pezzi, fra transumanze, scissioni e abbandoni, è destinato ad esercitare un ruolo secondario nella competizione politica, quando che sia la data della prossima sfida elettorale.
Ebbene, nel profluvio verboso di cui l’uomo non è mai avaro, c’è un’affermazione davvero sensazionale che merita tutta la nostra attenzione.
Renzi ha scoperto che nel corso della storia umana tutte le grandi invenzioni (“dalla stampa all’automobile sino alla rivoluzione digitale”) hanno prodotto e produrranno nel futuro ricadute tecnologiche il cui effetto è stato, come inevitabilmente sarà nel futuro, quello di “creare problemi”, il più grave dei quali è quello di generare disoccupazione.
La mirabile conclusione cui Renzi perviene è che non si tratta di rispondere a tutto ciò con misure come il reddito di cittadinanza e simili, poiché - udite udite – è solo il lavoro che conferisce la cittadinanza ed anche la dignità, come è scritto, ci ricorda l’ex premier, nell’articolo 1 della nostra Costituzione (quella, per inciso, che lui ha tentato inutilmente di mandare in soffitta).
Parole sacrosante! Peccato facciano a pugni con tutte le misure adottate dal suo governo che hanno avuto come tratto distintivo lo sviluppo della precarietà (con l’estensione dei voucher), la compromissione della dignità dei lavoratori (con la liquidazione dell’articolo 18), la distruzione di posti di lavoro (attraverso l’amputazione della mano pubblica che non ha saputo promuovere e finanziare investimenti). Sicché un giovane su due non trova lavoro, il tasso di disoccupazione è al 13%, l’Italia non solo non cresce ma è in deflazione, aumentano disuguaglianza, povertà assoluta e relativa.
Se l’ex presidente del consiglio nonché ex segretario del Pd avesse letto la Legge suprema dello Stato saprebbe che all’articolo 4 sta scritto che “la Repubblica riconosce a tutti cittadini il diritto al lavoro”, non astrattamente, ma in concreto, “e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”: esattamente l’opposto di ciò che Renzi ha fatto, impedendo che fossero rimossi “gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, come sempre la Costituzione prescrive.
Per mettere in atto questi aurei precetti servirebbero un grande piano per l’occupazione (con poderosi investimenti pubblici nell’infrastrutturazione primaria del paese), una massiccia riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il ripristino dei fondamentali diritti individuali e collettivi dei lavoratori divenuti in tutti questi anni il bersaglio preferito dei governi di centrodestra e di centrosinistra, in modo da sottrarli al ricatto padronale che ostacola una ripresa della contrattazione collettiva e un sostanzioso incremento delle retribuzioni ormai ai più bassi livelli d’Europa.
Questo andrebbe fatto. Tutto il resto sono chiacchiere da imbonitori che non incantano più nessuno.

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