L’affare Consip ha
scoperchiato il vaso di Pandora, da cui escono miasmi irrespirabili. Da lì è
uscito il brodo di coltura del renzismo che si può così riassumere: il rampollo
di casa Renzi ha scalato il Pd e se n’è impadronito grazie al sostegno
economico di un groviglio di interessi più che opaco, composto da finanzieri
d’assalto, da palazzinari, da speculatori, da spregiudicati imprenditori i
quali, essendo tutto meno che filantropi dediti al bene comune, sono poi
tornati a bussare alle porte del potere per riscuotere i dividendi del loro
investimento.
Questa è la sostanza più
autentica che tracima dall’ultimo episodio di malversazione, particolarmente
rivelatore per le dimensioni del fatto corruttivo e perché si infila come una
lama nel cuore del sistema di potere renziano e persino nella sua famiglia.
Seguiremo gli sviluppi degli
aspetti giudiziari della vicenda, ma quale che ne sia l’evoluzione è sin d’ora
chiaro che il Partito democratico è ormai corroso da un processo degenerativo
fatto di amicizie impresentabili, di familismo, anche geografico, e da un
intrico di relazioni amicali che promana dal centro e si estende, giù per li
rami, alle periferie più lontane. Ne è profondamente contaminato l’intero
partito che non sembra più essere nelle mani dei suoi elettori ma dei padroni
delle tessere pagate con poste pay.
La famosa “rottamazione”
all’insegna di un nuovismo purificatore, come quella precedente di impronta
berlusconiana, si è risolta nella riedizione del più putrido intreccio fra
affari e politica, che ha condotto alla rapida ascesa nel firmamento politico
di autentici lestofanti.
Illuminante anche la reazione
degli ultimi fuoriusciti dal Pd, quelli che hanno dato vita alla nuova
formazione denominata “Democratici e progressisti”. Loro chiedono che il
ministro Lotti, coinvolto nell’affaire, faccia “un passo di lato”.
Badate la sottigliezza, “un
passo di lato” e non dimissioni. Sì, perché non sia mai che la soluzione più
radicale metta in crisi il governo e si faccia con ciò il gioco di Renzi che
vuole ad ogni costo pervenire alle elezioni prima che la troppa astinenza dalle
stanze del potere lo faccia uscire lesso come un cappone.
Che il governo fotocopia Gentiloni
non sia in grado di compiere un solo atto di governo di qualche significato e che
la situazione del Paese precipiti senza che un cane si preoccupi delle
conseguenze che ricadono sulla parte più debole della società è l’ultima
preoccupazione degli uni e degli altri.
Ecco come si ragiona (si fa
per dire) da quelle parti.
Sulla strada delle manfrine
politiciste c’è però un inciampo: la mozione di sfiducia al ministro Lotti del
M5S. Cosa farà il neonato Mdp? Andrà in soccorso del sodale di Renzi caduto in
disgrazia? Inaugurerà il proprio esordio politico con un peloso e compromettente
atto di clemenza? Resterà unito o si
dividerà? Si aprono le scommesse. Vedrete che prevarranno gli interessi di
bottega.
La questione morale, in
quanto questione politica – lo aveva già
capito Berlinguer oltre 30 anni fa – non ha più corso legale in questo paese.
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