lunedì 20 marzo 2017

Voucher e appalti: la Caporetto del governo




E’ apparso subito chiaro che Gentiloni avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitare il referendum sui voucher e sugli appalti, anche a costo di vedere smottare un pezzo delle controriforme sul lavoro prodotte dal governo Renzi. E l’ha fatto, in barba alla coerenza, che per i nostri governanti è l’ultimo problema, liquidando con una rasoiata l’intero dispositivo di legge oggetto dei quesiti sottoposti al giudizio degli elettori.
Una nuova sconfitta subita nelle urne a furor di popolo sarebbe suonata come una campana a morto per il governo fotocopia e avrebbe con tutta evidenza segnato la fine della legislatura.
I ministro della precarietà, tale Giuliano Poletti, che nel dicembre scorso si era fatto sfuggire la frase che “le leggi non si cambiano per evitare i referendum perché il referendum è un atto di democrazia” ora tace, introvabile da chiunque gli chieda conto delle ragioni che lo avevano spinto, insieme ai suoi, a dichiarare che il governo avrebbe prodotto al testo di legge le modifiche che avrebbero impedito il ricorso alle urne, senza cancellare del tuttogli istituti in questione. Ma il timore che la Corte costituzionale potesse non ritenere quelle modifiche sufficienti ad evitare la consultazione popolare, ha prevalso su tutto.
Il governo procederà con la decretazione d’urgenza, uno squillo di tromba per ordinare una precipitosa ritirata, almeno per il momento.
Ora strillano come aquile tutte le associazioni padronali, Confindustria in testa, che si vedono sfilare dal mazzo degli strumenti che i governi di Monti prima e di Renzi poi avevano messo loro a disposizione per sfruttare meglio il lavoro e fare soldi facili: il Jobs act, elevato a simbolo della modernità - la modernità del capitalismo più aggressivo e spregiudicato - imbarca acqua da cento falle.
Certo, nel sacco della precarietà c’è ancora tanta roba, a partire dalla  possibilità di licenziare senza giusta causa, considerato che il quesito per resuscitare (almeno parzialmente) l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è stato inopinatamente dichiarato improponibile dalla Corte costituzionale.
Attenzione, però, perché il veleno si nasconde spesso nella coda. Il ricorso alla decretazione consente infatti di baipassare il temuto scoglio del referendum ma, come si sa, il provvedimento deve essere successivamente convertito in legge entro 60 giorni, pena la decadenza che farebbe tornare la situazione nello status quo ante. E si può essere certi che questo governo di morti viventi cercherà di rimettere in circolo qualche tossina.
In ogni caso, due fatti, entrambi figli della vittoria del 4 dicembre, restano: i voucher, estesi ad libitum dal governo Renzi, sono stati tolti di mezzo, come viene soppressa la norma che assolve la ditta appaltante da qualsiasi responsabilità per le violazioni di legge e contrattuali dell’appaltatore.
Ora si tratta di non mollare la presa e di affondare i colpi sull’intera impalcatura delle politiche contro il lavoro che sono il distintivo classista delle forze a cui il governo in carica risponde. Per farlo con efficacia è innanzitutto necessario rilanciare il conflitto sociale, da troppo tempo senza guida. E poiché al voto prima o poi si dovrà tornare serve sviluppare nel paese una campagna che porti alla liquidazione definitiva del sistema elettorale maggioritario e al ripristino proporzionale della rappresentanza parlamentare.

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