lunedì 6 febbraio 2017

Il tallone di ferro dell’Ue e il servilismo del governo italiano




Ricordate (sembra un secolo fa) il Matteo Renzi rampante che alla vigilia del referendum erogava mance a dritta e a manca per esorcizzare la rabbia popolare che montava contro il suo governo e per catturare consensi nell’imminente consultazione elettorale alla quale aveva legato la sua sorte? Ricordate l’ammonimento della Corte dei Conti che segnalava l’insufficienza delle coperture finanziarie? Renzi, da maramaldo giocatore di poker quale è sempre stato, aveva persino ottenuto che la Commissione europea posticipasse a dopo il voto il giudizio sulla manovra. Sapeva di bluffare, ma pensava che una volta incassato il bottino elettorale i giochi erano fatti: “passatu lu jurnu, gabbatu lu santu”.
Invece, come si sa, tutto gli è andato male e a sbrogliare l’ingarbugliata matassa ereditata si è trovato Paolo Gentiloni, detto cuor di leone.
L’Ue ha spiegato che i conti non sono in regola con i vincoli di bilancio e che per rientrare serve, immediatamente, una manovra correttiva pari allo 0,2 del pil, una cosetta come 3 mld e 400 ml. E per farsi capire meglio, ha minacciato l’avvio della procedura di infrazione contro l’Italia, con tutte le conseguenze sanzionatorie che ne derivano.
Ebbene, il presidente del consiglio del governo “fotocopia” ha finto di resistere. Ma la sua opposizione è durata la bellezza di 16 giorni, dal 17 gennaio (giorno dell’arrivo della lettera al governo) al 2 febbraio, giorno in cui il ministro dell’economia Padoan ha dichiarato la resa. Senza condizioni.
Dopo avere dichiarato che quei soldi servono per rilanciare la crescita, che “è miope la pretesa della Commissione di imporre all’Italia una riduzione dello 0,2% del proprio deficit”, che non cederemo mai a quella richiesta e che pertanto “non faremo un passo indietro”, ecco la capriola.
Il conto di Renzi verrà saldato per intero e senza indugio!
Sì, entro aprile, se non prima, il governo metterà le cose a posto.
La commissione europea, che sa con chi ha a che fare, ha salutato compiaciuta, e con sottile ironia, l’impegno del nostro governo “ad adottare misure perché l’Italia torni ad essere rispettosa dei suoi impegni di bilancio”.
Ecco dunque sbugiardata, una volta di più, la pantomima dei nostri governanti, che fingono di di opporsi alle politiche di austerità e ai dogmi del monetarismo europeo ma, al dunque, si genuflettono obbedienti.
Ora il problema è: dove prendere i soldi?
Senza senso del pudore, e neppure dell’umorismo, Gentiloni e Padoan hanno parlato di lotta all’evasione, ma il vero strumento, collaudato con innumerevoli tagliandi, è quello della scure sulla spesa e quello delle tasse. Sanità, assistenza, servizi sociali in primo luogo. E poi la forma più iniqua di tassazione, quella attraverso l’aumento delle imposte indirette, che colpiscono indiscriminatamente, senza progressività e quindi in modo del tutto ingiusto, gravando sulla parte più debole della popolazione. Come le accise sui carburanti, che assicurano un gettito sicuro, estorto a tutti coloro che si riforniscono alle pompe di benzina.
Il lavoro sporco, il conto di Renzi lo pagherà il suo ascaro, messo lì a scaldare il posto, in attesa di togliere il disturbo quando il suo padrone deciderà che è venuto il momento.
 

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