Viola Carofalo e Giorgio
Cremaschi bollano i compagni e le compagne di Rifondazione con il termine, che vuole
essere dispregiativo, di “fuoriusciti”.
In realtà, come chiunque può
constatare, le cose stanno esattamente all’opposto.
Ex Opg, Eurostop e Rete dei
comunisti hanno stipulato fra loro un vero e proprio patto di sindacato – per
usare una formula che le imprese usano per regolare la propria governance
interna – al fine di cambiare la ragione sociale di Potere al Popolo, mutare in
senso autoritario le regole di democrazia interna, liquidare il principio della
decisione condivisa per sostituirlo con una pratica maggioritaria,
intrinsecamente espulsiva.
In corsa hanno cambiato le
regole del gioco, hanno cancellato il manifesto costitutivo originario di PaP,
hanno preteso di approvare il nuovo statuto del movimento con poco più di un
terzo dei voti degli associati, si sono apprestati a costituire un partitino
settario, a struttura piramidale, nelle mani di un ristrettissimo gruppo di
maggiorenti, i soli abilitati a tracciare la rotta, nella più solitaria
autoreferenzialità. E hanno infine proclamato che chi non ci sta se ne deve
andare, perché fuori da quel guscio c’è solo zavorra.
Tutti costoro, e Rifondazione
in cima alla lista, indisponibili a subire il golpe, nei fatti cacciati dal
consesso unitario dopo averne vampirizzato passione, risorse, lavoro,
risultati, sono diventati i reprobi, i nemici da additare al pubblico ludibrio,
i “fuoriusciti”, appunto.
Talvolta, però, l’uso di
certi termini, si ritorce contro chi ne fa un uso troppo spregiudicato.
Definisce così,
l’enciclopedia Treccani, il termine di fuoriusciti: “Oppositori di un regime che continuano in forma aperta o clandestina
l’attività di opposizione e di lotta”.
Scherzi dell’inconscio.
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