mercoledì 28 aprile 2021

Del “male minore” o del “meno peggio”

 



C’è un adagio popolare molto noto che recita: “piuttosto che niente è meglio piuttosto”, formula che si ritrova, in una versione più sofisticata, nel detto, di origine voltairiana, “il bene è nemico del meglio”.

Tutta la prassi politica moderata è fondamentalmente ispirata a questo principio. Se pensi che fuori dal capitalismo c’è spazio solo per aporie e velleitarismi, terreno di elezione di tutti gli ‘acchiappanuvole’, in quanto sei persuaso che la storia umana sia giunta ad un suo approdo definitivo e la formazione economico-sociale capitalistica non abbia alcuna credibile alternativa, allora tutto si riduce a pratiche emendative.

A ben vedere, il successo della formula del “voto utile” ha proprio questa radice: “non posso cambiare le cose, dunque mi faccio sedurre dal ‘meno peggio”.

Il “menopeggismo” è il rifugio ipocrita di tutte le politiche rinunciatarie.

Proprio del concetto di “male minore” o di “meno peggio” si occupa Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere.

Quaderno 16 (XXII) § (30)

“Un male – scrive Gramsci - è sempre minore di un altro susseguente possibile maggiore. Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all’infinito. La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo, contrastando la nascita di una forza concorrente       a quella che passivamente si adatta alla «fatalità»”.

Possiamo allora dire, con buona ragione, che “il peggio” viene proprio dal “meno peggio”.

Riflettere anche su queste relativamente recenti considerazioni di Oskar Lafontaine, ex ministro delle finanze del governo Schroeder e fondatore della Linke:

 “Mi sono reso conto che quando eserciti il potere politico dentro un sistema di rapporti sociali capitalistici, giungi fatalmente ad un punto in cui non bastano più misure redistributive del reddito. Quindi, o sei in grado di attuare scelte radicali e mettere in discussione i rapporti di proprietà, oppure sei inesorabilmente costretto a rinculare dentro il rapporto di capitale e a soccombere dentro l’ipoteca dei poteri forti”. Ma Schroeder non era disponibile a fare questo passo che fuoriusciva dalla logica delle compatibilità. Per questo me ne sono andato”.

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