Alla prima vera prova che
avrebbe dovuto certificarne le buone intenzioni, il Movimento dei democratici e
dei progressisti nato dalla
miniscissione del Partito democratico, scivola clamorosamente nello stagno
limaccioso del più vieto e antico politicismo.
D’Alema, Bersani e compagnia
cantante hanno infatti deciso di abbandonare l’aula quando in parlamento sarà
posta ai voti la proposta di legge che reintroduce i voucher nell’ordinamento
lavoristico del nostro paese.
Questi cuor di leone hanno
pensato che tutto possa risolversi con il più tiepido quanto ininfluente
segnale di dissenso.
Si tratta in realtà della più
vergognosa ipocrisia poiché l’effetto della fuga dal voto sarà unicamente
quello di abbassare il quorum necessario affinché la legge passi. Dunque, i
transfughi dal Pd avranno un ruolo decisivo nel reintrodurre quella forma di
lavoro schiavile che il governo Gentiloni era stato costretto a revocare al
fine di evitare che fosse celebrato il referendum, nella certezza che il
responso popolare avrebbe abrogato l’infame normativa, suonando le campane a
morto per il governo “fotocopia”.
Il motivo di questa mossa
geniale? Fingere di prendere le distanze dal provvedimento, lasciando pienamente
operanti le forche caudine sotto le quali devono prostrarsi i lavoratori per
accedere ad un lavoro purchessia, e contemporaneamente salvare la pelle al
governo altrimenti costretto alla resa.
L’Mdp considera cioè
sacrificabile una fondamentale battaglia di civiltà e di dignità al gioco
cinico sul futuro della legislatura ingaggiato con Renzi.
A questi sedicenti
democratici nonché progressisti non importa nulla dei lavoratori, dei loro
diritti e neppure della volontà popolare. Il 4 dicembre non è per loro che uno
sbiadito ricordo. E suona insopportabilmente beffarda e cialtronesca
quell’intestazione del movimento all’articolo 1 della Costituzione che impone
di radicare nel lavoro la democrazia repubblicana.
Essi non sono altro che la
stampella dell’ordine costituito. Eppure, la pattuglia che ha dato vita alla
nuova formazione politica vorrebbe accreditarsi come espressione di una
sinistra rinnovata, diversa dalla casa madre da cui ha – provvisoriamente –
esodato.
Ebbene, nessuna coalizione di
forze seriamente intenzionata a contrapporsi alle politiche liberiste e
antisociali che rappresentano lo stigma dei poteri dominanti può imparentarsi
con questa gente.
Farlo significherebbe perdere
in partenza ogni credibilità, fare morire nella culla la speranza di un
radicale rinnovamento della sinistra e riconsegnare il Paese a chi lo sta
dissanguando.
Non siamo interessati a
riesumare accrocchi elettoralistici che inseguono il solo scopo di assicurare
qualche visibilità e munifiche rendite di posizione a personaggi che hanno
concorso a liquidare le più importanti conquiste sociali frutto delle grandi
battaglie del secolo scorso.
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