“Voi avete bisogno di me,
perché io sono ricco e voi povero; stipuliamo dunque un patto fra noi:
permetterò che abbiate l’onore di servirmi a patto che mi diate il poco che vi
resta in cambio del disturbo che mi prendo nel comandarvi”.
Si esprimeva così il grande
Jean Jacques Rousseau, meritandosi una letterale citazione di Marx nel primo
libro del Capitale, per avere descritto con corrosivo sarcasmo il patto “leonino” che codificava non già un
presunto stato di natura, ma un vero e proprio stato di guerra attraverso il
quale le classi dominanti, i ricchi, appunto, opprimevano e espropriavano le
classi subalterne, i poveri.
Questo scriveva il grande
filosofo ginevrino nella metà del XVIII secolo. E aggiungeva che nell’involucro
di questi rapporti sociali “l’eguaglianza è solo apparente e illusoria”, perché
“non serve che a mantenere il povero nella sua miseria e il ricco nella sua
usurpazione”, per cui “le leggi sono sempre utili a chi possiede e nocive a chi
non ha nulla”. Ecco perché “lo stato sociale giova agli uomini solo in quanto
posseggano tutti qualcosa e nessuno di essi abbia qualcosa di troppo”.
Ebbene, cosa è cambiato, di
sostanziale, da due secoli e mezzo a questa parte? Non è esattamente questa la
condizione in cui versa quattro quinti dell’umanità, malgrado lo stupefacente
sviluppo della scienza, della tecnica permetterebbe di risolvere, su scala
planetaria, i problemi della fame, della sete, delle malattie endemiche,
promuovendo il libero e multilaterale sviluppo di ogni essere umano?
Eppure accade l’esatto
contrario. L’apice della modernizzazione tecnologica coincide con
l’abbrutimento sino alla riduzione in schiavitù e alla negazione di futuro per
masse sterminate di persone, ridotte a merci che producono altre merci al
servizio dell’accumulazione capitalistica e dell’appropriazione privata di
pochi.
Viene così in chiaro che
piccole misure riformistiche non servono a nulla, perché hanno l’efficacia di
impacchi caldi su una gamba di legno e assomigliano alle vecchie leggi sulla
povertà di vittoriana memoria con cui un pugno di proprietari universali tiene
in scacco popoli interi.
Questo è l’assetto del mondo
contro cui vogliamo ribellarci. Anche in Italia, dove le forze maggiori che si
contendono il potere politico non sono che varianti delle classi dominanti, che
hanno fatto a gara nel distruggere i principi, i diritti sociali e civili
sanciti dalla nostra costituzione antifascista.
Centrodestra e
centrosinistra, M5S e la neonata ma già vecchia peudo-sinistra light di “Liberi
ed eguali”, tutti costoro sguazzano nello stesso stagno, non avendo né
l’intenzione né la capacità di trascendere l’ordine costituito, l’opprimente
supremazia del mercato e delle leggi imposte per servirlo.
Nelle imminenti elezioni
politiche proveremo, insieme a quanti e quante non si rassegnano, a mettere in
campo una lista che guarda oltre quelle Colonne d’Ercole, una lista fatta da
chi agisce il conflitto sociale, in cui si riconosca chi sta in basso e si
oppone alla prepotenza vessatoria di chi sta in alto.
Non è che l’inizio, un seme
destinato a germogliare.
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