lunedì 12 dicembre 2016

L’occasione che non dobbiamo perdere




Ad essere sinceri dovremmo ringraziare Renzi. Dovremmo ringraziarlo per la sua bulimia di potere. Per avere tentato di travolgere la democrazia costituzionale attraverso un plebiscito che se vinto avrebbe cancellato il parlamento e consegnato il potere, tutto il potere, nelle mani di una consorteria di lestofanti che in questi anni avevano dato plateale dimostrazione degli interessi a cui sono asserviti. Dovremmo ringraziarlo per avere rimesso in moto la sovranità del popolo che è corso in massa alle urne non per incoronarlo, ma per mandarlo a casa. Infine, cosa della massima importanza, dovremmo ringraziarlo per avere contribuito, sebbene a sua insaputa, e comunque contro ogni sua intenzione, a riaccendere i riflettori sulla Costituzione, non soltanto sui temi, certamente rilevantissimi, della forma di governo, dello Stato, dell’architettura istituzionale, ma anche sui fondamentali principi costituzionali, sulla nervatura sociale, sul progetto di società e di democrazia che vive nella Carta e che da oltre trent’anni è stato messo in sonno, dimenticato, scardinato.
Il voto, come tutti hanno potuto vedere, ha avuto diverse facce, ma fra queste c’è un tratto fondamentale e decisivo: ha messo i ricchi e coloro che sentono di avere le terga al riparo da una parte e i poveri, i precari, i lavoratori, gli sfruttati dall’altra. Questi ultimi hanno capito, per istinto, che la Costituzione sta dalla loro parte e quelli che la vogliono liquidare dall’altra. Si è trattato, per usare le parole giuste, di un voto di classe.
Chi sta pagando drammaticamente la crisi ha pronunciato un solenne “Basta!” al potere che ha somministrato potenti dosi di austerità a chi sta in basso e laute prebende a chi sta in alto e che ha fatto della disuguaglianza il proprio distintivo politico.
Ma l’esito del referendum parla un linguaggio chiarissimo anche al frammentatissimo arcipelago della sinistra non addomesticata dalle sirene renziane, estranea e ostile alla deriva liberista del Pd e purtuttavia (sino ad ora) incapace di trovare un punto di incontro programmatico forte, durevole, tale da prefigurare un blocco sociale e politico alternativo alle due destre in cui si articola la rappresentanza delle classi dominanti, in Italia e in Europa.
Ebbene, il messaggio che deve giungere a tutte le orecchie ricettive è questo: fare proprio, per intero e senza omissioni, il contenuto politico della Carta del’48, farlo divenire il comune denominatore di un progetto trasformativo della società italiana, e intorno ad esso coagulare una coalizione di soggettività politiche diverse, tutte chiaramente visibili nella propria identità e autonomia, eppure tutte solidalmente unite nella realizzazione di quel disegno.
Basta, dunque, con le fallimentari scorciatoie politiciste con cui sino a ieri si è preteso di rifondare la sinistra mettendo intorno ad un tavolo soggetti in cerca d’autore, contenitore senza contenuti. Il paradigma va rovesciato: prima viene il progetto politico, l’attuazione della Costituzione, senza sconti per nessuno.
Per una volta, invertendo l’ordine dei fattori il prodotto cambia.

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