lunedì 19 dicembre 2016

Vinta una battaglia, ma la guerra è ancora aperta



 
Credo che nessuno pensasse seriamente che la sconfitta avrebbe indotto Matteo Renzi all’abbandono della politica. Men che meno lui. Lo scenario della debacle era talmente lontano dalle sue più pessimistiche previsioni che l’ipotesi di un ritiro alla vita privata era un puro espediente retorico, serviva a spaccare diametralmente il paese e costringerlo ad un plebiscito sulla sua persona. L’idea malsana somigliava a quella a suo tempo propugnata dal fu ideologo della Lega Gianfranco Miglio, il quale sosteneva che la costituzione si può (anzi si deve) cambiare a maggioranza e che dopo il dissenso lo si regola nelle piazze come problema di ordine pubblico!
La battaglia l’abbiamo vinta e questo successo apre un campo di lavoro per il futuro prossimo; la guerra invece è del tutto aperta, perché la democrazia è tuttora sotto assedio e – per continuare nella metafora - dovremo combattere casa per casa.
Il finto passo indietro di Renzi, con il varo di un governo indecente, plasmato a sua immagine e somiglianza e da lui telecomandato farà nel dettaglio quello che gli viene ordinato di fare. E precisamente: rimuovere la sconfitta, spostare in là nel tempo sia le elezioni sia la resa dei conti congressuale nel Pd, affidare al più squalificato dei governi della Repubblica il compito di fare un’altra legge elettorale che scongiuri un vero ritorno al proporzionale e prepari il pieno ritorno al potere di Renzi e della sua combriccola per continuare nell’opera di demolizione del poco che resta ancora in piedi della Costituzione.
C’è però un intralcio rilevante sulla loro strada: il referendum sul Jobs act e sulla disciplina degli appalti che ove le elezioni politiche non si tengano subito dovrà svolgersi in primavera. Renzi e i suoi sanno che una nuova bocciatura nelle urne rappresenterebbe la pietra tombale sull’intero impianto politico delle contro-riforme sociali che hanno caratterizzato l’azione di governo del centrosinistra, da Monti in avanti.
Bisogna tuttavia sapere che l’esito della partita non è scontato, malgrado la gravità di quei provvedimenti, dall’abolizione dell’articolo 18 ai voucher, per citare solo le misure più odiose, insieme all’abolizione delle pensioni di anzianità. Lo abbiamo già visto in altre occasioni, quando si trattò di difendere la scala mobile o quando provammo ad estendere a tutte le aziende, anche in quelle con meno di 16 dipendenti, l’efficacia dello Statuto dei lavoratori. Il fatto è che la tendenza all’astensione (contraddetta solo da quest’ultima consultazione) unita all’indicazione di disertare le urne da parte di qualche forza politica di peso può produrre facilmente, come spesso ha prodotto, l’effetto di non fare raggiungere il quorum. E una sconfitta sui referendum sociali rovescerebbe l’esito della straordinaria vittoria che abbiamo appena finito di festeggiare.
Dunque, come si vede, non bisogna “rimanere sui colpi”. Non appena avremo certezza che le elezioni politiche slitteranno, dovremo attrezzare la campagna, questa volta per il “Sì”, aggregando, come e più che per il referendum contro la “deforma”, tutte le forze disponibili. Potete essere certi che lo scontro non sarà meno feroce.

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