Credo che nessuno pensasse
seriamente che la sconfitta avrebbe indotto Matteo Renzi all’abbandono della
politica. Men che meno lui. Lo scenario della debacle era talmente lontano
dalle sue più pessimistiche previsioni che l’ipotesi di un ritiro alla vita
privata era un puro espediente retorico, serviva a spaccare diametralmente il
paese e costringerlo ad un plebiscito sulla sua persona. L’idea malsana
somigliava a quella a suo tempo propugnata dal fu ideologo della Lega
Gianfranco Miglio, il quale sosteneva che la costituzione si può (anzi si deve)
cambiare a maggioranza e che dopo il dissenso lo si regola nelle piazze come
problema di ordine pubblico!
La battaglia l’abbiamo vinta
e questo successo apre un campo di lavoro per il futuro prossimo; la guerra invece
è del tutto aperta, perché la democrazia è tuttora sotto assedio e – per
continuare nella metafora - dovremo combattere casa per casa.
Il finto passo indietro di
Renzi, con il varo di un governo indecente, plasmato a sua immagine e
somiglianza e da lui telecomandato farà nel dettaglio quello che gli viene
ordinato di fare. E precisamente: rimuovere la sconfitta, spostare in là nel
tempo sia le elezioni sia la resa dei conti congressuale nel Pd, affidare al
più squalificato dei governi della Repubblica il compito di fare un’altra legge
elettorale che scongiuri un vero ritorno al proporzionale e prepari il pieno
ritorno al potere di Renzi e della sua combriccola per continuare nell’opera di
demolizione del poco che resta ancora in piedi della Costituzione.
C’è però un intralcio
rilevante sulla loro strada: il referendum sul Jobs act e sulla disciplina
degli appalti che ove le elezioni politiche non si tengano subito dovrà
svolgersi in primavera. Renzi e i suoi sanno che una nuova bocciatura nelle
urne rappresenterebbe la pietra tombale sull’intero impianto politico delle
contro-riforme sociali che hanno caratterizzato l’azione di governo del
centrosinistra, da Monti in avanti.
Bisogna tuttavia sapere che
l’esito della partita non è scontato, malgrado la gravità di quei
provvedimenti, dall’abolizione dell’articolo 18 ai voucher, per citare solo le
misure più odiose, insieme all’abolizione delle pensioni di anzianità. Lo
abbiamo già visto in altre occasioni, quando si trattò di difendere la scala
mobile o quando provammo ad estendere a tutte le aziende, anche in quelle con
meno di 16 dipendenti, l’efficacia dello Statuto dei lavoratori. Il fatto è che
la tendenza all’astensione (contraddetta solo da quest’ultima consultazione)
unita all’indicazione di disertare le urne da parte di qualche forza politica
di peso può produrre facilmente, come spesso ha prodotto, l’effetto di non fare
raggiungere il quorum. E una sconfitta sui referendum sociali rovescerebbe
l’esito della straordinaria vittoria che abbiamo appena finito di festeggiare.
Dunque, come si vede, non
bisogna “rimanere sui colpi”. Non appena avremo certezza che le elezioni
politiche slitteranno, dovremo attrezzare la campagna, questa volta per il
“Sì”, aggregando, come e più che per il referendum contro la “deforma”, tutte
le forze disponibili. Potete essere certi che lo scontro non sarà meno feroce.
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