giovedì 25 ottobre 2018

Game over



 Al coordinamento nazionale di PaP è andato in scena l’atto (annunciato) che certifica la frattura verticale del movimento.

Coloro che hanno proposto e sostenuto lo Statuto 1 hanno salutato con entusiastica enfasi lo “straordinario risultato” del voto, hanno dichiarato che ora non rimane che andare dal notaio per sostituire lo statuto ancora in vigore con quello nuovo che ritengono approvato e del quale  hanno rivendicato l’immediata esigibilità.

Che lo lo Statuto 1 abbia raccolto poco più di un terzo dei consensi rispetto alle oltre 9 mila persone che hanno aderito a Pap e che tale percentuale tocchi a stento il 45% delle 7200 persone che hanno attivato la procedura prevista dalla piattaforma per accedere al voto, è cosa del tutto irrilevante: 3332 persone hanno approvato lo statuto1, 3868 hanno praticato l’astensione attiva o, in piccola parte, hanno votato lo statuto2, mentre 1890 aderenti a PaP non hanno attivato la procedura di voto.

Ci sarebbe di che riflettere. Invece no: tutto va bene, madama la marchesa.

Non basta avere cancellato il principio della decisione condivisa, non solo si è rifiutato il criterio della maggioranza qualificata dei due terzi, ma è passata in cavalleria persino la condizione della maggioranza semplice, quella del famigerato 50%+1.

I sostenitori dello Statuto1 hanno deciso che la minoranza assoluta basta e avanza per approvare lo Statuto, il documento fondativo del movimento, l’atto che equivale ad una costituzione, la casa comune di tutti e che, invece, di tutti non sarà più per scelta deliberata.

La verità, elementare per chiunque mastichi nozioni elementari di democrazia, è che quello statuto non è stato approvato.

E allora, perché questa proterva volontà di rottura, compiuta freddamente e con metodo?

Ho sentito dire: “perché bisogna garantire la governabilità”, e ancora, “perché serve rapidità di decisione”, affermazioni che hanno un suono sinistro, in quanto replicano, pari pari, gli argomenti che usò Renzi quando tentò di strappare la Costituzione.
Con la differenza che lui non poté pretendere di avere vinto con il 40 per cento dei voti.

E allora, perché si è esercitata una forzatura così violenta sul neonato corpo di PaP?

La ragione è di una inquietante semplicità: attraverso lo statuto si è voluto tracciare una netta linea di demarcazione fra i soggetti che hanno titolo di fare parte di Pap, e quanti possono restare, ma solo in una posizione gregaria e subalterna.

L’idea di un grande progetto sociale e politico di inclusione, per formare una soggettività antiliberista e anticapitalista, aperta e plurale deve escludere Rifondazione perché indiziata di collusione con il nemico.

Che Rifondazione abbia compiuto una radicale, definitiva e non negoziabile scelta di campo non ha importanza. Che essa abbia dato un impulso determinante alla formazione e alla proiezione nazionale di PaP neppure.
Come non conta che ben prima del naufragio del Brancaccio, e a maggior ragione dopo, fosse emerso limpidamente che non vi è per il Prc alcuna disponibilità a cadere nella trappola di accrocchi politicistici con i rottami in libera uscita del centrosinistra.

E allora? Il fatto è che una parte di PaP persegue l’obiettivo di un’autosufficienza autistica, per cui chiunque esiste, si muove, lotta fuori da esso un po’ di rogna se la porta comunque addosso.

Così si comportavano i gruppetti marx-leninisti degli anni Settanta nella loro fase crepuscolare. E si sa come è finita.

In queste settimane Rifondazione è stata sottoposta ad una sorta di ordalia, condita con una raffica di insulti  a palle incatenate sui quali preferisco sorvolare.
Atti che però lasciano il segno in un corpo vivo che fa della militanza disinteressata la cifra del proprio impegno politico.

Difficile anche solo capire la pulsione autolesionista di chi ha portato sino in fondo una lacerazione che non può portare a nessuno, si badi: a nessuno, alcunché di buono.
Per questo sbaglia alla grande chi in queste ore festeggia la rottura, ritenendo che sbarazzatosi di Rifondazione con una rasoiata, ciò che resta di Pap potrà librarsi nel cielo depurato da scorie e tossine, forte di un piccolo nucleo che in plancia di comando tiene saldamente il timone nelle proprie mani, riservandosi di tracciare la rotta durante la navigazione.

E ora?
Certo, la delusione è forte. Ed è tanto più grande quanto lo è stato l’investimento su questo progetto di unità. Capisco lo sconforto di tanti e di tante che hanno creduto che si stesse aprendo una nuova pagina.

Ma una cosa è certa. Chi ha sostenuto che non si dovesse andare ad una conta fratricida, chi ancora si riconosce nel Manifesto costitutivo di PaP, chi in tutti questi mesi ha lavorato per costruire la trama di un rapporto unitario capace di mettere in comunicazione tante persone, alimentando la speranza di un cambiamento vero, non abbandonerà il campo.
Quell’esperienza, nelle forme possibili, continuerà. Non “resteremo sui colpi”.
La deriva reazionaria che sta ingoiando il Paese impone ad ognuno/a di noi di aprire cento fronti di lotta e di resistenza attiva. Lo faremo con la generosità e con lo spirito unitario di sempre.

Nessun commento:

Posta un commento