Il 7 dicembre scorso la Cassazione ha accolto
il ricorso proposto dalla società Riva del sole Spa contro la decisione della
Corte di Appello di Firenze, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento
intimato nei confronti di un dipendente della società in quanto “motivato soltanto
dalla riduzione dei costi”. Ribaltando la pronuncia di secondo grado, la
Suprema Corte afferma che costituisce “giustificato motivo oggettivo” non
soltanto il
licenziamento motivato da una
congiuntura economica sfavorevole, ma anche quello effettuato nell’intento di
perseguire un incremento della redditività dell’impresa, detto in prosa, proteso
alla ricerca di un più alto profitto.
Per capire bene fino a quale punto di
perversione delle fonti del diritto sia giunta la Corte, occorre sapere che, a
sostegno della propria tesi, la Corte cita proprio l’articolo 41 della
Costituzione, quello che stabilisce che “l’iniziativa economica privata è
libera” ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Incredibile?
State a sentire. Mentre la Corte censura la seconda parte del periodo citato, afferma
che il preminente interesse sociale è proprio il profitto dell’impresa, sicché il
diritto alla conservazione del posto di lavoro è degradato a mero interesse
sacrificabile in vista di una maggiore efficienza economica.
Pareva impossibile che si riuscisse ad peggiorare
la legge Fornero e il renziano Jobs act. E invece sì. A farlo questa volta non
è un governo ma un organo istituzionale che in un solo colpo liquida due
fondamentali principi costituzionali: l’articolo 1, che definisce l’Italia come
una Repubblica fondata sul lavoro, piuttosto che sul profitto del privato
imprenditore, e l’articolo 4, che afferma come prioritario il diritto al lavoro
e impone agli organi della Repubblica il compito di promuovere le condizioni
“che rendano effettivo questo diritto”.
Infatti nella Costituzione il lavoro non è
soltanto il corrispettivo di una remunerazione, ma è molto di più.
Il lavoro è, precisamente, un elemento
costitutivo della personalità umana, un bene che non può essere posto alla
mercé di qualunque altro interesse e tanto meno può essere avvilito e abolito
dall’iniziativa privata alla quale invece, con questa ignobile sentenza, non si
riconosce più alcun limite.
Su questa traccia, anche lo sfruttamento
nelle forme più intollerabili trova qui una formale legittimazione.
La Corte Suprema ha così trasformato le
fondamenta del diritto, stabilendo che l’Italia è una Repubblica fondata
sull’impresa e sul suo potere arbitrario di disporre a proprio piacimento della
vita dei lavoratori.
Più di ogni altra considerazione, il giudizio
della Cassazione è emblematico delle drammatiche trasformazioni che stanno
colpendo le fondamenta dello Stato sociale e la costituzione materiale del
paese.
Questa sentenza manda a dire quello che
abbiamo sostenuto con forza durante tutta la campagna referendaria per il “No”
alla manomissione della Carta. Sapevamo che la posta in gioco non aveva nulla a
che fare con la modernizzazione del processo legislativo, ma era
luciferinamente orientata a demolire le fondamenta della Repubblica. Ecco
perché la sfida decisiva che è di fronte a noi è ora, più che non mai,
l’attuazione della Costituzione.
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