Nel suo discorso di fine anno
il presidente della Repubblica ha voluto ricordare che la disoccupazione e in
particolare quella dei giovani, costretti ad emigrare o ad accettare di passare
sotto le forche caudine di un lavoro precario, umiliante, sottopagato, è una
patologia del nostro sistema. Ed infatti lo è, drammaticamente, se un giovane
su due è senza lavoro, al netto delle statistiche bugiarde che considerano una
persona occupata se svolge un’attività per un giorno alla settimana, per una
settimana al mese o per un mese all’anno.
Una patologia, sì, che come
tale ha delle cause e delle responsabilità, per nulla oscure o indecifrabili.
La domanda è: se la
Repubblica (così c’è scritto nella Costituzione) “riconosce a tutti i cittadini
il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto”; e se – è ancora la Costituzione che parla – “è compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, quali sono le
cause di una così devastante violazione della legge fondamentale dello Stato? E
quali - insisto – i responsabili della revoca dei due fondamentali pilastri su
cui dovrebbe reggersi la nostra convivenza: libertà e uguaglianza?
Questo il presidente della
Repubblica nel suo messaggio non l’ha spiegato. Forse per farlo occorreva un
altro presidente: il partigiano Sandro Pertini, per esempio, ma tant’è.
Certo è che la disoccupazione
non è una calamità atmosferica, sebbene persino i fenomeni naturali siano in qualche
misura prevedibili e contenibili nei loro effetti più distruttivi da
un’efficace opera di prevenzione.
Ma cosa servirebbe per
generare occupazione, occupazione sana e dignitosa? Essenzialmente tre cose: “braccia” (cioè disponibilità di lavoro),
“cose da fare” (e dio sa quanto
sarebbe possibile investire nella bonifica del territorio, nella manutenzione
della infrastrutturazione primaria del Paese, nella ricerca scientifica e nella
cultura, nel sistema di protezione sociale) e “denaro” (disponibile in grande quantità se il prelievo fiscale
avvenisse secondo i criteri di proporzionalità previsti dalla Costituzione, se
si colpisse la mastodontica evasione che ruba risorse vitali allo Stato).
Ebbene, se queste condizioni
non si realizzano è solo per ragioni politiche, legate agli interessi che
dominano la vita nazionale ed europea.
Per capirlo basta dare uno
sguardo alla ripartizione della ricchezza del Paese e si capirà chi si mangia e
come il prodotto del lavoro sociale. E basta riflettere sul carattere
brutalmente vessatorio dei trattati europei, sottoscritti da tutti i governi
che si sono succeduti alla guida dell’Italia negli ultimi 25 anni. Trattati che
hanno sequestrato la sovranità popolare e che in ragione di un’assurda
architettura finanziaria impediscono agli Stati di investire in deficit,
preferendo che si paghino interessi da usura sul debito. Noi oggi soccombiamo
non per una inesorabile necessità economica, ma perché i padroni di sempre si
stanno divorando il Paese e il futuro di tutti noi.
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