lunedì 23 gennaio 2017

La Consulta ha seppellito il referendum sull’articolo 18. E ora?




Come è noto, con un voto fortemente contrastato, la Corte Costituzionale ha stabilito che il referendum sull’articolo 18 proposto dalla Cgil non è ammissibile.
La motivazione del rigetto sta nel fatto che la maggioranza della Consulta ha ravvisato nel quesito proposto un difetto che avrebbe trasformato il referendum da abrogativo a propositivo, ciò che la legge non consentirebbe.
Esso avrebbe cioè non soltanto reintegrato nella norma il divieto di licenziamento senza giusta causa e il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro definitivamente soppresso dal Jobs act, ma avrebbe esteso tale diritto anche ai dipendenti di aziende e unità produttive al di sopra dei 5 e non più soltanto al di sopra dei 15 dipendenti.
Vale la pena di notare che la Corte si espresse in termini totalmente diversi quando Rifondazione comunista, nel 2003, promosse un analogo e per certi versi ancor più netto referendum sull’articolo 18 della legge 300/’70, con l’obiettivo di abbattere quella soglia dei 15 dipendenti che spaccava in due il mondo del lavoro, lasciandone una parte cospicua senza tutela dal sopruso padronale.
In quell’occasione la Corte non sollevò alcuna obiezione, il referendum si svolse regolarmente ma non raggiunse il risultato sperato perché il quorum non fu raggiunto.
Si recò alle urne “solo” il 25,5% del corpo elettorale, più di 12 milioni di cittadini, 10.572.000 dei quali (l’86%) si espresse favorevolmente all’estensione del diritto, malgrado l’opposta indicazione di voto di tutto il Centrosinistra e dei suoi capintesta.
La circostanza la dice lunga sui tempi che viviamo e su quanto spazio la crociata contro il lavoro abbia scavato trincee anche nella testa dei giudici costituzionali.
Ora i referendum rimasti in campo sono soltanto due: quello per l’abolizione dei voucher e quello che chiede di cambiare la normativa sugli appalti, affermando la responsabilità in solido fra appaltante e appaltatore.
Ora vedrete che il governo proverà a mettere una pecetta sulla normativa dei voucher per sottrarre anche questo tema alla consultazione popolare.
A quel punto la frittata sarà fatta, perché in campo resterà soltanto la pur importante partita sugli appalti, probabilmente non sufficiente a scaldare i cuori sino a portare alle urne la metà degli elettori.
Questo stato delle cose apre una riflessione che non può essere rinviata e che chiama in causa proprio la Cgil, colpevolmente inerte e persino complice quando la manomissione delle leggi sul lavoro fu prodotta.
Il ricorso al referendum, in “articulo mortis”, è stato il tentativo di rimontare con un colpo d’ala il terreno perduto. Ma un compito così arduo non lo si può svolgere cercando scorciatoie elettorali.
Il sindacato deve innanzitutto tornare a fare il sindacato, organizzando e guidando i lavoratori nella battaglia sociale per la riconquista della dignità perduta.

Nessun commento:

Posta un commento