lunedì 1 maggio 2017

Il rischio della guerra che è davanti a noi




Dopo la crisi dei missili a Cuba nel 1962, quando si rischiò seriamente la guerra fra Stati Uniti e Unione sovietica, la paura che l’umanità potesse essere annientata da una catastrofe termonucleare sembrò essere tramontata per sempre. E così avvenne, per molti anni.
Poi, dopo la caduta dell’Urss e del socialismo realizzato vi fu tutto un fiorire di immaginifici racconti sulla “fine della storia”, considerato che il paradigma capitalistico aveva trionfato sul suo antagonista storico e che il mondo, secondo i mentori del capitale, avrebbe conosciuto solo pace e prosperità.
Peccato che questo profluvio di sciocchezze ideologiche trascurasse che il capitalismo ha sempre convissuto con la guerra, di cui si è strategicamente nutrito per rilanciare il meccanismo di accumulazione messo in crisi dalle proprie interne, insanabili contraddizioni.
I decenni che abbiamo alle spalle e il presente che stiamo vivendo ne sono una lampante dimostrazione.
Le guerre locali e regionali hanno ormai assunto una dimensione globale, dove i conflitti, mossi da interessi economici e geo-politici, delineano un quadro dirompente, segnato dall’antagonismo fra imperialismi e sub-imperialismi caratterizzati dalla lotta per il possesso e il controllo delle materie prime.
Le potenti corporations armiere e i centri di potere ad esse legati hanno assunto ovunque un potere esorbitante e impongono una corsa agli armamenti a cui sembra non più in grado di contrapporsi un movimento di massa e globale per la pace che nel passato e fino agli anni 2000 era riuscito almeno a contendere il campo alle pulsioni guerrafondaie.
Un inquietante fatalismo, quasi un senso di rassegnazione, di impotenza pare avere inibito ogni capacità di mobilitazione a tutte le latitudini.
E invece nulla più della passività può trascinare il mondo oltre l’orlo del baratro.
Ritenere che quanto sta accadendo davanti alle coste coreane non sia che una schermaglia tattica senza reali conseguenze e che tutto si risolverà in una pura esibizione muscolare è un errore di incalcolabile gravità.
Gli Stati uniti, sui quali pesa la più grande responsabilità della situazione che si è prodotta, hanno già ampiamente dimostrato di sapere varcare la soglia di non ritorno, nella sciagurata illusione che lo strapotere bellico di cui dispongono consentirebbe loro di vincere contro il “ruggito del topo” del dittatore nord-coreano.
E’ in realtà del tutto evidente che il detonatore coreano produrrebbe un’accelerazione di tutti i conflitti aperti in ogni scacchiere, dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America latina. Anche questo è già successo, e dovrebbe rammentarlo chi non ha del tutto smarrito il ricordo di come e perché l’umanità si sia gettata in due terrificanti conflitti mondiali.
L’Europa, e nell’Europa l’Italia, non svolgono alcun ruolo positivo. Anzi: si armano e armano i paesi che vogliono armarsi. Senza andare per il sottile, giacché, come si sa, il denaro, e i profitti che ne derivano, non hanno odore.
Non è dai governi, proni alle classi dominanti, che può venire uno scatto di resipiscenza. Può venire dai popoli, che le costituzioni post-belliche vorrebbero sovrani, se smetteranno di subire la protervia irresponsabile di quell’uno per cento di padroni universali che dopo averli depredati ed espropriati ora potrebbero prendersi le loro vite. Ricordatelo: è già successo!

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