lunedì 16 ottobre 2017

Ecco il risultato del liberismo: ci si infortuna e si muore di più sul lavoro, mentre la speranza di vita diminuisce





Dopo decenni nei quali si assisteva ad un decremento degli infortuni e delle morti sul lavoro (in misura comunque e sempre elevatissima) oggi assistiamo al trend inverso.
Infatti nei primi sette mesi dell’anno i primi sono cresciuti dell’1,3%, le seconde addirittura del 5,2%.

I cantori del nostro decrepito regime hanno tentato di spiegare con un trucco l’aumento degli omicidi bianchi, hanno cioè raccontato che all’origine del fatto vi è la risibile ripresa produttiva di questi tempi e l’aumento (altrettanto risibile) dell’occupazione.
Ma la bugia ha le gambe corte perché è proprio l’Istat a rivelarci che nel complesso dell’industria e dei servizi il numero delle ore lavorate è diminuito, come conseguenza dello sviluppo crescente dei lavori precari e discontinui.
Il che rinvia alle vere cause di questa ulteriore compromissione delle condizioni di lavoro: pochi investimenti in sicurezza, misure di prevenzione prossime allo zero, formazione inadeguata, occupazione instabile e precaria, organi di controllo e sorveglianza ridotti ai minimi termini, scarsa o nulla efficacia della rappresentanza sindacale.
Tutto ciò che si condensa in una sola formula: dilaga ormai senza argini lo sfruttamento del lavoro, spesso in forme primordiali, autorizzate da politiche che hanno indebolito i lavoratori davanti al padrone, rendendoli succubi di ogni sorta di ricatto.

A questa infamia se ne aggiunge un’altra: per la prima volta dalla promulgazione della Repubblica, la “speranza di vita diminuisce”: in altre parole, si muore prima.

Qui i corifei governativi tacciono.
Ma le ragioni sono altrettanto semplici.

La parte più debole della popolazione, le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà e quanti si trovano in un’area di prossimità all’indigenza non si curano più, perché le medicine e le visite ambulatoriali costano: sono 11 milioni gli italiani che hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie.
Il tutto in un quadro aggravato dal peggioramento dei servizi pubblici, mentre sale vorticosamente la spesa sanitaria privata, arrivata a 34,5 mld di euro. Che significa “più sanità, ma soltanto per chi può pagarsela”.

Per questo la prevenzione di cui parla la propaganda governativa non è altro che un esercizio di cinica ipocrisia e il diritto alla salute un altro precetto costituzionale buttato nel cestino.

Del resto, i salari italiani, con una contrattazione collettiva che quando va bene racimola briciole, sono i più bassi nell’Europa dei 15, superiori solo a Spagna e Portogallo, mentre il potere d’acquisto delle pensioni è crollato in 15 anni del 33 per cento e la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente grazie al blocco della rivalutazione annuale introdotto dalla riforma Fornero.

Quindi, delle due l’una: o riusciamo a mandare al macero questa sciagurata politica e con essa le classi sociali e il personale politico che le propugna, oppure dei diritti sociali solennemente scolpiti nei fondamentali principi costituzionali non resterà traccia per le generazioni future.

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