Che Bankitalia responsabile
della mancata vigilanza sui crac bancari non abbia vigilato affatto ed abbia,
anzi, girato la testa da un’altra parte “lo sanno anche i bancomat”, come
scrive con efficace sarcasmo Marco Travaglio.
Altrettanto lampante è che
Ignazio Visco, “detto Tutto-va-ben-madama-la-marchesa” – scrive ancora con
tagliente umorismo il direttore del Fatto Quotidiano – in un paese serio “non
sarebbe più governatore da un pezzo”.
E allora, perché prendersela
col “povero” Renzi che ora ne chiede la testa?
Per una ragione
semplicissima, e cioè che per anni il duo Renzi&Boschi ha lasciato marcire
le crisi bancarie, “per non turbare l’ottimismo obbligatorio fino al referendum
del 4 dicembre 2016”.
In quel tratto di tempo il
conto di quel disastro finanziario è cresciuto fino ad oltre sessanta miliardi
e i conto è stato messo a carico dello Stato, cioè su tutti noi.
Ma c’è di più, perché lo
“scaricabarile” sulla banca centrale serve a mascherare due magagne grandi come
un condominio.
La prima è la responsabilità
diretta e personale di Maria Elena Boschi in una delle vicende più scabrose fra
i crac finanziari italiani, quello di Banca Etruria, che la signorina di
Laterina ha cercato in ogni modo di coprire, abusando del proprio potere,
negando e spergiurando la propria estraneità di fronte al parlamento, insieme
alle pesanti responsabilità del padre che della banca di Arezzo era
vicepresidente.
La seconda è che nel preteso
licenziamento di Visco si nasconde non la voglia di pulizia, non l’esigenza di restaurare
la credibilità gravemente compromessa della Banca centrale, non l’intento di riguadagnare
la fiducia popolare verso i compiti di vigilanza di un ufficio che dovrebbe
vegliare con scrupolo istituzionale sul risparmio degli italiani, ma la
vendetta nei confronti di Visco, reo di avere chiesto il commissariamento della
banca del papà della sottosegretaria alla presidenza del consiglio e di averlo
multato.
Ora Renzi, recidivo nel
considerare gli italiani una mandria di buoi, vende la sua personale crociata
come un’iniziativa meritoria, ispirata al rispetto che si deve ai risparmiatori.
E dal trenino che lo porta nel peripatetico viaggio propagandistico in giro per
l’Italia ordina l’attacco a Visco. Ma da dove è uscita quella mozione? Perché
nessuno ne sapeva nulla: non il partito, non i gruppi parlamentari. Cadono
dalle nuvole sia il presidente del consiglio sia il capo dello stato.
Po si scopre il mistero: la prima
firma sulla mozione di sfiducia la mette tale Silvia Fregolent, deputata che
non ha alcuna competenza sulla materia, ma ha il merito di appartenere al
ristretto cerchio magico boschiano.
Si tratta, palesemente, di un
prestanome e, precisamente, il prestanome di Maria Elena Boschi, vera autrice
del papello, nuovamente protagonista spudorata di un mastodontico conflitto di
interessi che ogni giorno si gonfia di nuovi episodi.
La vituperata ditta
Renzi&Boschi si muove ormai come una bussola impazzita, ma a guidarne le
malefatte, nell’ombra e tuttavia sempre più visibili, agiscono lobbies e poteri
corruttori; poteri che hanno da tempo espropriato quella sovranità che secondo
la nostra Costituzione dovrebbe appartenere al popolo.
C’è solo da chiedersi come
sia possibile che costoro tengano in ostaggio un paese intero.
Nessun commento:
Posta un commento