L’attacco al sindacato sferrato con inconsapevole ma rivelatrice leggerezza dal candidato premier del M5S sorprende solo chi non abbia capito cosa fermenta nel profondo della cultura raccogliticcia dei grillini.
Già nel 2013, Roberta
Lombardi, portavoce del movimento, vantava di non sentire alcun bisogno di
incontrare le parti sociali e, in primis, il sindacato in quanto – così si
esprimeva – “noi siamo le parti sociali”.
Grillo si era spinto ben
oltre, flirtando con Casa Pound e affermando, testualmente, “voglio uno Stato
con le palle, eliminiamo i sindacati che sono una struttura vecchia come i
partiti politici”.
La teoria sottesa a questa
affermazione, minacciosamente ostile ai principi che fanno del sindacato uno
dei pilastri della democrazia costituzionale, ha alla sua base un’idea
totalitaria del potere, che si riassume in quel “partito della nazione” che
trova nella cultura della destra estrema il suo precedente storico e il suo motivo
ispiratore.
E’ noto che nel passato, in
Italia come in Germania, ci hanno pensato Mussolini e Hitler a fare il lavoro
sporco sopprimendo tutte le organizzazioni del movimento operaio.
Se c’è un tratto comune a
tutti i governi reazionari, questo è la propensione alla limitazione, sino
all’abolizione, delle libertà sindacali ed una politica economica e sociale a
sostegno delle classi dominanti.
Renzi stesso, del resto, nel
delirio di onnipotenza dei tempi migliori, non si era forse espresso esattamente
negli stessi termini, affermando che “non è un reato dire che vogliamo cambiare
il sindacato”? (…) “Io penso – aveva sentenziato – che in questo paese abbia
fatto più Marchionne che il sindacato. Io sto con Marchionne”.
E qui c’è il succo di tutta
la questione.
Cosa intende Di Maio – e cosa
intende Renzi - per riforma etero-imposta del sindacato?
La cosa è ancora oscura, ma
basta la minaccia a fare comprendere dove e per chi batta il cuore del nuovo
“capataz” grillino.
Una cosa è invece chiarissima
e questa Di Maio l’ha detta: una politica per l’occupazione si fa abbattendo il
costo del lavoro, che per essere chiari significa dare soldi ai padroni e
decontribuire una parte delle retribuzioni, col duplice risultato di unire ai
bassi salari l’ulteriore deperimento delle prestazioni sociali che sono già in
caduta libera. Insomma, il classico repertorio della politica liberista.
Questo è il profilo della
politica italiana in questi tempi grami: le 6 forze politiche che nel loro
insieme formano la quasi totalità del parlamento (Pd, M5S, Forza Italia, Lega,
Fratelli d’Italia, AP (già NCD)) congiurano in vario modo contro la Costituzione.
Prenderne definitivamente
atto significa provare ad unificare la parte del paese che nella Carta si
riconosce e che di costoro non vuole più saperne.
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