lunedì 2 ottobre 2017

Per Di Maio, come per Renzi, l’avversario è il sindacato






L’attacco al sindacato sferrato con inconsapevole ma rivelatrice leggerezza dal candidato premier del M5S sorprende solo chi non abbia capito cosa fermenta nel profondo della cultura raccogliticcia dei grillini.

Già nel 2013, Roberta Lombardi, portavoce del movimento, vantava di non sentire alcun bisogno di incontrare le parti sociali e, in primis, il sindacato in quanto – così si esprimeva – “noi siamo le parti sociali”.

Grillo si era spinto ben oltre, flirtando con Casa Pound e affermando, testualmente, “voglio uno Stato con le palle, eliminiamo i sindacati che sono una struttura vecchia come i partiti politici”.

La teoria sottesa a questa affermazione, minacciosamente ostile ai principi che fanno del sindacato uno dei pilastri della democrazia costituzionale, ha alla sua base un’idea totalitaria del potere, che si riassume in quel “partito della nazione” che trova nella cultura della destra estrema il suo precedente storico e il suo motivo ispiratore.

E’ noto che nel passato, in Italia come in Germania, ci hanno pensato Mussolini e Hitler a fare il lavoro sporco sopprimendo tutte le organizzazioni del movimento operaio.

Se c’è un tratto comune a tutti i governi reazionari, questo è la propensione alla limitazione, sino all’abolizione, delle libertà sindacali ed una politica economica e sociale a sostegno delle classi dominanti.

Renzi stesso, del resto, nel delirio di onnipotenza dei tempi migliori, non si era forse espresso esattamente negli stessi termini, affermando che “non è un reato dire che vogliamo cambiare il sindacato”? (…) “Io penso – aveva sentenziato – che in questo paese abbia fatto più Marchionne che il sindacato. Io sto con Marchionne”.

E qui c’è il succo di tutta la questione.
Cosa intende Di Maio – e cosa intende Renzi - per riforma etero-imposta del sindacato?
La cosa è ancora oscura, ma basta la minaccia a fare comprendere dove e per chi batta il cuore del nuovo “capataz” grillino.
Una cosa è invece chiarissima e questa Di Maio l’ha detta: una politica per l’occupazione si fa abbattendo il costo del lavoro, che per essere chiari significa dare soldi ai padroni e decontribuire una parte delle retribuzioni, col duplice risultato di unire ai bassi salari l’ulteriore deperimento delle prestazioni sociali che sono già in caduta libera. Insomma, il classico repertorio della politica liberista.

Questo è il profilo della politica italiana in questi tempi grami: le 6 forze politiche che nel loro insieme formano la quasi totalità del parlamento (Pd, M5S, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, AP (già NCD)) congiurano in vario modo contro la Costituzione.  
Prenderne definitivamente atto significa provare ad unificare la parte del paese che nella Carta si riconosce e che di costoro non vuole più saperne.

Nessun commento:

Posta un commento