Dopo l’affossamento dell’Ilva
da parte della famiglia Riva e il disastro economico, sociale e ambientale
procurato da questi magnifici esemplari dell’italica razza padrona, il
ministero dello sviluppo economico che gestisce la società in regime di
commissariamento ha accettato l’offerta d’acquisto della cordata Arcelor
Mittal/Marcegaglia.
Costoro hanno scritto venerdì
una lettera in cui hanno spiegato cosa intendono fare dell’assetto
occupazionale del gruppo a fronte dell’annunciato investimento di circa 2
miliardi e mezzo fra risanamento industriale e piano industriale.
Ebbene, secondo i nuovi
padroni, 4 mila dei 14 mila dipendenti sparsi per l’Italia sono in esubero e se
ne dovranno andare.
A Taranto ne resteranno 7.600
su quasi 11 mila, a Genova 900 su 1.500, a Novi Ligure torneranno al lavoro in
700, meno della metà dell’organico attuale, mentre poche decine rimarranno in
attività nei rimanenti stabilimenti.
Ma il taglio dei posti di
lavoro non si esaurisce con questa sforbiciata perché il cosiddetto
cronoprogramma aziendale prevede che nei prossimi anni, a regime, l’occupazione
calerà a 8.480 dipendenti.
Inoltre, secondo Marcegaglia
e soci il rapporto di lavoro sarà nuovo ad ogni effetto, dunque saranno
cancellate le voci retributive relative agli accordi aziendali e saranno azzerati
gli scatti di anzianità, con un salasso della busta paga tra il 20 e il trenta
per cento.
E non è finita qui, perché
trattandosi di nuovi rapporti di lavoro, secondo quanto prevede il Jobs act, i
lavoratori non saranno più protetti dall’articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori, con la conseguenza che ove fossero individualmente licenziati,
anche senza giusta causa o giustificato motivo, sarebbero cacciati con
l’accompagnamento di una misera mancia, visto che la nuova normativa prevede il
solo indennizzo di due mensilità per ogni anno di servizio prestato.
E poiché Am InvestCo – questo
il nome della nuova cordata – è una nuova società, questa potrà utilizzare
ex-novo tutto il pacchetto della cassa integrazione previsto dalla legge,
avvalendosi di un ulteriore, straordinario polmone di flessibilità.
Ma che cosa ne sarà dei
lavoratori in eccedenza? Semplice: resteranno in collo alla vecchia Ilva in
amministrazione controllata, in regime di cassa integrazione “a perdere”.
Il costo dell’ammortizzatore
sociale sarà a dunque a carico dei cittadini, perché nulla dev’essere imputato
alla nuova azienda, beatificata come “salvatrice”, in base all’aureo principio
del capitalismo da rapina che impone che si privatizzano i profitti e si
socializzano le perdite.
E i sindacati? Il confronto
riparte oggi, a Roma, presso il ministero dello sviluppo economico, con i
lavoratori in sciopero in tutte le sedi dell’Ilva. Ma occorrerà una rivolta per
fare del confronto una trattativa vera e non una farsa dall’esito annunciato.
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