lunedì 9 ottobre 2017

Il governo regala l’Ilva a Marcegaglia e soci, permettendo ai nuovi padroni di licenziare 4 mila lavoratori e di abbattere diritti e salari





Dopo l’affossamento dell’Ilva da parte della famiglia Riva e il disastro economico, sociale e ambientale procurato da questi magnifici esemplari dell’italica razza padrona, il ministero dello sviluppo economico che gestisce la società in regime di commissariamento ha accettato l’offerta d’acquisto della cordata Arcelor Mittal/Marcegaglia.

Costoro hanno scritto venerdì una lettera in cui hanno spiegato cosa intendono fare dell’assetto occupazionale del gruppo a fronte dell’annunciato investimento di circa 2 miliardi e mezzo fra risanamento industriale e piano industriale.

Ebbene, secondo i nuovi padroni, 4 mila dei 14 mila dipendenti sparsi per l’Italia sono in esubero e se ne dovranno andare.

A Taranto ne resteranno 7.600 su quasi 11 mila, a Genova 900 su 1.500, a Novi Ligure torneranno al lavoro in 700, meno della metà dell’organico attuale, mentre poche decine rimarranno in attività nei rimanenti stabilimenti.

Ma il taglio dei posti di lavoro non si esaurisce con questa sforbiciata perché il cosiddetto cronoprogramma aziendale prevede che nei prossimi anni, a regime, l’occupazione calerà a 8.480 dipendenti.

Inoltre, secondo Marcegaglia e soci il rapporto di lavoro sarà nuovo ad ogni effetto, dunque saranno cancellate le voci retributive relative agli accordi aziendali e saranno azzerati gli scatti di anzianità, con un salasso della busta paga tra il 20 e il trenta per cento.

E non è finita qui, perché trattandosi di nuovi rapporti di lavoro, secondo quanto prevede il Jobs act, i lavoratori non saranno più protetti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con la conseguenza che ove fossero individualmente licenziati, anche senza giusta causa o giustificato motivo, sarebbero cacciati con l’accompagnamento di una misera mancia, visto che la nuova normativa prevede il solo indennizzo di due mensilità per ogni anno di servizio prestato.

E poiché Am InvestCo – questo il nome della nuova cordata – è una nuova società, questa potrà utilizzare ex-novo tutto il pacchetto della cassa integrazione previsto dalla legge, avvalendosi di un ulteriore, straordinario polmone di flessibilità.

Ma che cosa ne sarà dei lavoratori in eccedenza? Semplice: resteranno in collo alla vecchia Ilva in amministrazione controllata, in regime di cassa integrazione “a perdere”.
Il costo dell’ammortizzatore sociale sarà a dunque a carico dei cittadini, perché nulla dev’essere imputato alla nuova azienda, beatificata come “salvatrice”, in base all’aureo principio del capitalismo da rapina che impone che si privatizzano i profitti e si socializzano le perdite.

E i sindacati? Il confronto riparte oggi, a Roma, presso il ministero dello sviluppo economico, con i lavoratori in sciopero in tutte le sedi dell’Ilva. Ma occorrerà una rivolta per fare del confronto una trattativa vera e non una farsa dall’esito annunciato.

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