martedì 24 ottobre 2017

L’autonomia di Zaia parla di secessione…quella di Maroni non parla a nessuno



 Il referendum-day svoltosi nelle due regioni a trazione leghista, voluto dal Carroccio per farsi propaganda in vista delle prossime elezioni regionali e politiche, ha prodotto due risultati opposti: nel Veneto ha vinto Zaia (58% l’affluenza al voto con un 2% di “no”), mentre in Lombardia è caduto rovinosamente Maroni (37% l’affluenza e il 5% di “no”).

Come ognuno ha potuto vedere, in entrambe le regioni tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione (Lega, Pd, Forza Italia, M5S, persino Fratelli d’Italia che si è dissociata dalla posizione di Giorgia Meloni) hanno invitato i cittadini a recarsi alle urne. Una maggioranza che faceva presagire un plebiscito, che in realtà non si è verificato, da nessuna parte.

Ma il fatto ha una sua rilevanza e il dividendo politico (nel Veneto) lo riscuoterà solo la Lega: agli altri utili idioti, che erano stati nella partita per puro opportunismo, non resterà che il ruolo delle comparse che hanno portato acqua al mulino altrui.

Ora Zaia, gonfio come un pavone, alza il tiro e ai toni pacati della vigilia sostituisce un piglio ben più aggressivo, avanzando pretese che vanno ben oltre la richiesta di una maggiore autonomia in base all’articolo 116 della Costituzione, per tradursi nella rivendicazione esplicita di trattenere in loco nove decimi delle tasse riscosse nella “sua” regione: una tesi dirompente, questa, che fa a pugni con il patto fiscale su cui si fonda l’unità nazionale.

Ecco dunque che il tema della secessione, negato a parole, rientra prepotentemente in gioco, come pure la sempre verde parola d’ordine leghista, “padroni a casa nostra”, con tutti i risvolti antisolidaristici e xenofobi che porta con sé.

Se tutte le regioni si incamminassero su questa strada e pretendessero di godere dei privilegi assegnati alle regioni a statuto speciale saremmo ad un passo dalla disgregazione nazionale, cosa negata a parole, ma abilmente praticata nei fatti.
E il fantasma di Gianfranco Miglio tornerebbe ad aleggiare sulla penisola italica.

Quanto alla Lombardia, il flop di Maroni è clamoroso su tutta la linea. Aveva chiesto un mandato a fare come il suo ben più abile compare veneto e ha ricevuto un sonoro ceffone che non gli ha impedito di millantare un mandato a procedere che il voto gli ha negato.

La sorte non ha risparmiato a Maroni neppure un esilarante effetto comico quando, mentre il voto elettronico andava in tilt e si rivelava clamorosamente più lento dello scrutinio cartaceo egli ne esaltava la modernità ed annunciava una lettera a Gentiloni per chiedere al presidente del consiglio di utilizzare la strumentazione farlocca sperimentata in Lombardia anche per le prossime consultazioni politiche.

Cosa accadrà ora? In concreto nulla, da un lato perché la procedura prevista per aprire il confronto con il governo centrale prescinde del tutto dall’esito della messa in scena referendaria, dall’altro perché la materia fiscale è prerogativa esclusiva dello Stato.
E allora?
Solo tempo e soldi buttati e un bel po’ di propaganda elettorale gratis per la truppa di Salvini.

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